«Basta contarci.
C’è chi parla e dice “Siamo pochi, siamo tanti”, ma che importa.
Noi siamo, ed è questo che conta»

Sul finire dell’800 la pittrice e scrittrice anglosassone Estella Canziani attraversò l’Abruzzo a bordo di un carretto descrivendone paesaggi, usanze, curiosità a tradizioni. Il Gran Tour in Abruzzo della Canziani, preceduto e succeduto negli anni da quello di altri nomi celebri (Escher e Cartier – Bresson, tanto per citarne due) si tradusse una volta concluso nella pubblicazione del suo diario di viaggio, Attraverso gli Appennini e le Terre degli Abruzzi.

Costume Scanno

Una vedova scannese con la sua giovane figlia, entrambe in abiti tradizionali, in un ritratto di Estella Canziani

L’opera è un crudo ritratto delle costumanze di un Abruzzo ormai perduto nella memoria collettiva, che si presenta agli occhi di un’azzimata e moderna cittadina europea in tutto il suo fascino selvaggio e primitivo.

Tra le centinaia di stimoli ed aneddoti raccolti, l’autrice fa menzione, nel capitolo relativo al viaggio verso la città di Sulmona (AQ), ad un suo profondo interesse relativo ai riti e alle leggende tramandate in loco dalle comunità albanesi stanziatesi in Valle Peligna e, più in generale, in altre zone dell’Italia Meridionale.

Così scrive la Canziani riferendosi a quei riti e a quelle magiche dicerie:

Avevamo sentito molte voci sulle colonie albanesi con le loro strane superstizioni, nelle campagne di Sulmona. Si diceva che gli albanesi fossero una delle popolazioni più interessanti nell’Italia del Sud e ci dissero che credono nel drekesit (driadi), lupi minarii, margarat (streghe) e fiatazit (fate). – Estella Canziani, Attraverso gli Appennini e le Terre d’Abruzzo.

Probabilmente parlando di emigrazione albanese in Italia ai più torneràsicuramente alla mente la disperata diaspora di questo popolo avvenuta lungo tutto il corso degli anni ’90, che a seguito di conflitti, carestie e instabilità politica costrinse oltre 27.000 albanesi ad abbandonare la propria terra di origine approdando, per la maggior parte, nel nostro Paese.

driadi

Le Driadi, o Amedriadi, sono, secondo la mitologia greca, avvenenti fanciulle abitatrici dei boschi, la cui parte inferiore del corpo è costituita da un tronco d’albero

Eppure una prima ondata migratoria di questo popolo si verificò molti anni prima, tra il XV e il XVIII secolo d.C. , a causa dell’avanzata dell’Impero Turco avvenuta con la morte dell’eroe nazionale Giorgio Castriota Scanderbeg, generale d’armata fino a quel momento impegnato in difesa di un’Albania cattolica ed ortodossa.

Diversi anni più tardi il Regno di Napoli patrocinò l’assegnazione di numerosi lotti terrieri alle comunità albanesi divenute nel tempo stanziali, premurandosi però di suddividerle in più villaggi anche molto distanti tra loro, per evitare potenziali alleanze o possibili attacchi alla corona in caso di guerre civili.

Nacquero così le Comunità di Arberia, dette anche Villaggi Arbëreshë, in Campania, Basilicata, Puglia, Sicilia, Calabria, Molise e Abruzzo, mescolando nei diversi contesti lingua, dialetti e cultura con quelli delle comunità indigene e allestendo in ogni dove chiese decorate ed organizzate per il rito cattolico – bizantino e busti commemorativi di Scanderbeg, difensore e promotore della loro fede e della loro cultura.

Il più giovane di questi villaggi, datato 1703, si trova in Abruzzo, nella provincia di Pescara, ed è oggi una piccola frazione costituita da una chiesa ed un pugno di case: Villa Badessa.

eroe nazionale albanese

Il busto di Giorgio Castriota Scanderbeg nella frazione di Villa Badessa (PE)

Al pari di altre comunità arbëreshë, Villa Badessa (Badesha, in lingua balcanica) conserva ancora oggi la sua chiesa e i suoi riti di tipo bizantino, caratteristiche influenze dialettali figlie del meltin pot avvenuto secoli or sono, icone di San Demetrio e del condottiero Scanderberg ornate di fiori e numerose raffigurazioni di bandiere italiane e albanesi su muri e lampioni della frazione.

villa badessa

Particolare di Villa Badessa (PE)

Un profano avventore che dovesse trovarsi casualmente a transitare per questo piccolo borgo abruzzese resterebbe quantomeno disorientato dalla sua immagine tanto comune nelle architetture quanto allo stesso tempo completamente atipica nei riferimenti culturali.

I riti e le tradizioni del popolo albanese vennero qui tradotte e mescolate a quelle locali. Fino a molti anni dopo la sua fondazione continuò ad essere celebrato il Vallje, ballo caratteristico in cui uomini e donne a braccetto cantano cori ispirati alla loro terra d’origine.

Teghenugh te pee! O Ebucura Moree, cur!” (O bella Morea, non ti vedo da quando sono andato via!).

Molte sono inoltre le affinità di riti e leggende che questa comunità condivise con quelle ospitanti dell’Abruzzo costiero e montano. La consuetudine tutta albanese di servire grano bollito in occasione di funerali o celebrazioni in onore di cari estinti trova nella tradizione abruzzese profonde analogie con i riti del Capetièmpe, cerimoniali peligni inscenati a ridosso della prima decade di Novembre e dedicati al culto dei morti.

culto dei morti

Commemorazione dei defunti con rito cattolico – bizantino in una comunità arbereshe | Foto via

Molte sarebbero inoltre le somiglianze tra una fiatazit e il tutto abruzzese Mazzamarello (Mazzamariell), folletto dispettoso e alle volte crudele abitante dei boschi e delle campagne locali.

Quale delle due etnie abbia acquisito queste ed altre costumanze dalla seconda è impossibile dirlo. Ciò che è certo invece è quanto l’antico sodalizio che sin dal tardo medioevo accomuna il popolo abruzzese con quello dei balcani ancora vive in tutti quei particolari che ne condizionarono la storia. Particolari di considerevole interesse nascosti come un piccolo monile sotto le pieghe della lunga e affascinante tradizione popolare di questa regione.


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Vivo a Sulmona (AQ), dove sono nato e dove da qualche anno ho deciso di tornare a vivere. Mi occupo di web content e redazione di articoli, saggi e sceneggiature. Dall'autunno del 2013 sono inoltre editor di Gotico Abruzzese, un progetto nato con l'intento di raccontare un Abruzzo onirico e fuori dall'ordinario.