di Antonio Secondo.

Mondo Cane è un film documentario del 1962 dei registi Paolo Cavara, Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi, considerato capostipite del genere filmico “Mondo Movie”. La pellicola è un archetipo della violenza, un montaggio ermetico di footage dal taglio volutamente antropologico in cui sono rappresentati i più cruenti ed inusuali costumi delle popolazioni terrestri. Il mio primo approccio con quest’opera fu molto particolare: appena adolescente, e all’epoca senza una connessione internet, riuscii nell’impresa di procuramene una copia grazie ad un amico che l’aveva a sua volta reperita rovistando tra gli scatoloni di un videonoleggio in fallimento.

documentario

Mondo Cane (1962), titoli di testa

Dopo la prima mezz’ora di immagini il tono dell’opera cambia drasticamente. Le musiche del maestro Riz Ortolani abbandonano gli esotici xilofoni fino a quel momento impiegati per accompagnare le gesta di indigeni amazzonici e si fanno più cupe. La voce narrante assume un carattere mistico e reverenziale che sembra chinare il capo dinanzi alla maestosità di quanto sta per raccontare, mentre la statua di San Domenico Abate coperta di serpenti fa il suo ingresso nella scena. E’ così introdotto il celebre rito dei Serpari di Cocullo.

Immaginerete di certo lo stupore di un ragazzino fino a quel momento impegnato in un tour virtuale alla scoperta del mondo, trasportato da un mercato rionale della più sperduta regione della Malesia direttamente a Cocullo, paesino abruzzese ad appena 20 chilometri da casa sua. Ne rimasi sbigottito. Riavvolsi più volte il nastro della VHS per sincerarmi che ciò che avevo appena visto fosse reale, che quei filmakers avessero davvero scelto di raccontare in un’opera di tale importanza parte di una storia che in qualche modo rappresentava anche me.

 

 

 

Allora non sapevo quanto in realtà quel contributo non fosse che una minima parte di ciò che negli anni era stato scritto, filmato e fotografato di questo rito atavico, un rito la cui potenza evocativa affascinava e continua ad affascinare troupe televisive, antropologi, etnologi, fotografi e artisti di tutto il mondo.

Giancarlo Malandra

Serpari di Cocullo © Giancarlo Malandra

Sin dalla prima uscita di Kvlto sapevo che sarebbe prima o poi arrivato il momento di scrivere questo articolo, ma continuavo a rimandarne la stesura. L’idea di dover raccontare il rito dei serpari col consueto distacco che il popolo di Cocullo concede a studiosi e giornalisti di tutto il mondo non mi interessava, così ho continuato ad attendere, sicuro che prima o poi la giusta occasione per farlo sarebbe arrivata.

Poi ho conosciuto Edi.

Catturare serpente

Edi

Triestino di nascita, abruzzese d’adozione, Edi è un personaggio da romanzo, uno di quelli le cui esperienze di vita possono intrattenere chi le ascolta per ore, se non per giorni. La sua parlata è lenta, il timbro vocale greve e preciso, le sue parole un flusso di coscienza caratterizzate dal tipico accento del Nord – Est italico.

Definirlo è impossibile: un viaggiatore, un erpetologo, un asceta, uno scrittore, un criminale, uno sperimentatore. Ogni etichetta sarebbe per lui allo stesso tempo tanto corretta quanto errata e in fin dei conti “un osservatore” resta forse l’aggettivo che a mio avviso più lo rappresenta. Edi osserva, elabora, archivia.

A otto anni per esempio vede in TV uno speciale dell’amico degli animali Angelo Lombardi sui serpari di Cocullo che lo colpisce nel profondo. La passione per i rettili la conserva sin dalla nascita così,  vedere quel paese in cui la gente “vive con i serpenti in mano”, come lui stesso asserisce, gli sembra quasi un richiamo ancestrale.

l'amico degli animali

Angelo Lombardi, L’Amico degli Animali

Da grande voglio vivere lì e fare il serparo”, dice a sua madre con tutta l’innocenza di un bimbo che sogna di diventare pompiere, astronauta o paleontologo.

Registra quell’informazione da qualche parte nella sua mente, rispolverandola quasi 50 anni dopo, nel 2005, anno in cui decide, insieme a sua moglie Deborah, di lasciare Trieste per trasferirsi in Cina. Borse e documenti alla mano, i due giungono ad Anversa degli Abruzzi per salutare un’amica di lei che vi si è trasferita dopo aver sposato un abruzzese. L’idea è quella di restare quattro giorni per poi partire alla volta dell’Oriente, ma il misticismo selvaggio delle Gole del Sagittario e dei minuscoli borghi tutt’intorno arroccati su impervie pareti rocciose li rapiscono a tal punto che quei quattro giorni si tramutano quasi senza rendersene conto in undici anni.

Da allora i due vivono qui a Cocullo, in una casa le cui finestre affacciano come palcoscenici sul verde eterno delle vallate marsicane.

A otto anni avevo predetto il mio destino”, dice Edi ridendo mentre ricorda l’episodio di quando era bambino.

Durante il corso di questi anni continua gli studi già avviati in materia di erpetologia, disciplina che in un certo senso condizionerà il suo rapporto con quelli che lui chiama scherzosamente “gli indigeni”. Mi fa sorridere, e nello stesso tempo condivido, l’approccio scientifico con cui Edi descrive la mia gente. Così come i serpenti che tanto ama, gli abruzzesi rappresentano per lui un affascinante quanto impenetrabile mistero che, nonostante i lunghi anni trascorsi tra queste vallate, non è ancora riuscito a comprendere del tutto. Temperamento, mentalità, dinamiche sociali: ogni aspetto dell’identità del popolo abruzzese rivela la profonda ambivalenza di un carattere cruento quanto docile, generoso quanto avido, schivo quanto aperto. E’ forse per questo che quella dei Serpari di Cocullo è divenuta nell’immaginario collettivo la celebrazione più rappresentativa di questa regione. Nel parlare della festa, Edi proietta attorno a sé luci ed ombre. Ha dovuto faticare non poco per riuscire ad entrare da forestiero all’interno di una congrega tanto esclusiva, riuscendovi solo negli ultimi anni. Il suo metodo accademico nella cattura e nella manipolazione del serpente era per gli indigeni una lingua sconosciuta e indecifrabile.

Il loro approccio è mistico, il mio scientifico

Questa divergenza intellettuale ha rappresentato un lungo ostacolo nel perseguimento del suo obiettivo, fino all’incontro con il serparo puro.

Vieni” – mi dice – “Te lo presento

cocullo

Tonino, il serparo puro

Tonino è il più anziano serparo di Cocullo. Come molti dei suoi compaesani è stato istruito alla cattura delle serpi da suo padre, all’età di dieci anni. Se mi chiedessero di descrivere un abruzzese tipo ricalcherei il mio disegno sulla sua persona: un uomo timido, sempre sorridente, modesto e per niente spocchioso. Fierissimo del suo paese e delle sue origini, non ama raccontare di sé ma, se interrogato, si apre rispondendo con sincera spontaneità ad ogni quesito. Edi ha trovato nel senso di appartenenza e di rispetto che Tonino nutre verso ciò che il rito dei serpari rappresenta l’anello di congiunzione tra il mistico e lo scientifico di cui sopra, il tassello mancante del complesso mosaico che permette all’osservatore di comprendere la pura essenza di questo culto, quella che Jacopetti in Mondo Cane descrive come “un profondo atto di fede“.

Vederlo all’opera mi ha sconvolto” – racconta Edi – “Iniziata la ricerca del serpente Tonino è un’altra persona. I suoi occhi, le sue orecchie, tutti i suoi sensi sono sintonizzati sull’ambiente che lo circonda. Entra letteralmente in trance, e vive le montagne con la stessa spiritualità di uno sciamano amazzone alla ricerca di legno sacro da impiegare nei riti cerimoniali. E’ qualcosa di stupendo.

serpente

Edi e Tonino

Con mani segnate da una vita di lavoro e da numerosi morsi di serpente, Tonino ci mostra le catture di quest’anno: quattro mansueti cervoni che dispone sul tavolo del soggiorno. L’annata non è stata delle migliori: meteo altalenante e temperature piuttosto fredde non gli hanno permesso di lavorare come si deve. Inoltre ha scoperto che qualche collega ha sottratto dalla sua zona le serpi che generalmente tornava a riprendere.

Elaphe quatuorlineata

Le catture dell’anno

Da quattro o cinque anni gli animali vengono microcippati da un veterinario per stabilirne zona di provenienza, dati anagrafici e nome di chi li ha catturati. Questa novità ha permesso di digitalizzare un processo prima di allora effettuato su registri cartacei e di conseguenza a Tonino di risalire agli autori del furto.

Mi spiega con estremo rammarico che i furbi della situazione rappresentano una concreta minaccia al più puro spirito di questa celebrazione millenaria.

Alcuni tengono in casa le bestie migliori invece di riportarle dove le hanno trovate dopo la festa. Rubano i serpenti degli altri, riducendo il tutto ad una mera competizione. Questo significa non aver rispetto per gli animali e per il rito e non fa onore a ciò che un vero serparo dovrebbe rappresentare.

La questione etica è uno dei temi con cui questa tradizione deve continuamente fare i conti. Non pochi infatti sono stati nel corso degli anni gli animalisti che hanno espresso posizioni contrarie, in special modo verso la pratica che vede i serpenti come semplice strumento scenografico per orde di maleducati turisti in cerca di una foto ricordo. Una di questi è Licia Colò, presentatrice della trasmissione Geo&Geo, che interrogata sull’argomento si espresse negativamente gettando in qualche modo fango su tutto il rito.

Da queste parti non la possono neanche sentir nominare” ride Edi

incantatore di serpenti

Certo è che al di là di tutto maggiori controlli sarebbero necessari per preservare una serie di buone abitudini fino ad oggi insegnate e praticate dalle congreghe di serpari, e che invece sembrano perdersi sempre più in un dilagante malcostume. Ufficialmente, i serpari di Cocullo sono attualmente una quindicina, il giorno della festa invece diventano il doppio, se non il triplo. Questo perché da diversi anni molti abitanti dei paesi limitrofi hanno iniziato a dedicarsi alla cattura dei serpenti intuendone il potere economico.

Il giorno della festa girano tra le oltre ventimila persone che annualmente tornano a Cocullo per assistere al rito esponendo la viva mercanzia catturata nei giorni precedenti e ricevendo offerte di pochi euro per ogni foto scattata. Per ovviare al dilagante abusivismo, se così si può definire, il paese ha deciso di rilasciare dei tesserini ai serpari ufficiali, così da regolamentarne l’attività, ma i controlli che dovrebbero sorvegliarne l’effettivo utilizzo non vengono effettuati e il documento così non resta che un inutile pezzo di carta. In questo modo è impossibile stabilire in quali condizioni gli abusivi detengano i serpenti catturati in attesa della festa, le loro condizioni di salute e soprattutto la preservazione di specie rare.

serpenti Cocullo

Il giorno della festa. Foto via

Il necessario ammodernamento del rito è però un’operazione da svolgere nella più assoluta accortezza.

Snaturare un cerimoniale di tale importanza, com’è accaduto in contesti similari, sarebbe certamente qualcosa di vergognoso e criminale.

Gli stessi cocullesi hanno notato la sostanziale differenza rappresentata dal cambio dell’originale data della processione dal primo giovedì di Maggio al giorno della Festa dei Lavoratori, deciso qualche anno fa dal Governo Monti. In questo modo se il primordiale pubblico della rappresentazione era essenzialmente costituito da autentici appassionati interessati al rito che rinunciavano ad un giorno lavorativo per assistervi, oggi è invece perlopiù composto da una masnada di famiglie e avventori attratti esclusivamente dalla sua atipicità.

Una coerente mediazione tra le due parti è la scommessa su cui gli abitanti di questo piccolo borgo dell’Appennino Centrale dovrebbero iniziare a riflettere, in quanto la posta in gioco è la tutela della loro stessa identità. Al momento però non sembrano crucciarsene e il volgare circo di bancarelle e paninerie ambulanti che assediano le strade del paese durante la festa riflette ciclicamente l’ignavia della loro posizione in merito all’argomento. I quindici minuti di celebrità di cui il paese gode ogni anno sembrano soddisfare i suoi abitanti, che per il momento non desiderano nulla di più.

sagre abruzzo

La statua all’uscita dalla chiesa © Karl Mancini

Congetture forse, conclusioni che si disperdono in un lampo non appena la statua del Santo fa il suo ingresso nella piazza dove viene ricoperto di lunghi cervoni e neri biacchi con tutta la carica emotiva del momento, isteria di un rito antico che rivive oggi nell’adorazione di chi per secoli lo ha perpetrato. Un sentimento, questo, descritto da penne ed obiettivi di lustro, come quella del celebre antropologo Alfonso Maria di Nola, che nel suo “Aspetti magico – religiosi di una cultura subalterna italiana” dedicò al rito tutta l’attenzione di uno studioso, guadagnando in seguito la cittadinanza onoraria del piccolo borgo montano e un centro studi a lui dedicato.

Essere abruzzese significa sentirsi parte di tutto questo, essere costretti a difenderlo, preservarlo, riscoprendo così la propria appartenenza, l’atto di fede necessario per tutelare questo e molti altri riti dal pericolo della massificazione selvaggia.

***

Di nuovo in strada saluto Edi ringraziandolo per la bella giornata. Il giorno della festa è vicino, nella piazza principale del paese una troupe spagnola sta già lavorando alle riprese ambientali per il montaggio di un servizio sull’argomento. Vedendomi, uno di loro mi raggiunge, attaccando bottone col pretesto di una sigaretta da accendere.

Seis de este país? Podemos hacer una entrevista?
No puede” – rispondo – “No soy de aquí

Anche se, da abruzzese, un po’ mi ci sento.


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Vivo a Sulmona (AQ), dove sono nato e dove da qualche anno ho deciso di tornare a vivere. Mi occupo di web content e redazione di articoli, saggi e sceneggiature. Dall'autunno del 2013 sono inoltre editor di Gotico Abruzzese, un progetto nato con l'intento di raccontare un Abruzzo onirico e fuori dall'ordinario.