Immagini tratte da Eco e Narciso – Sit Tibi Copia Nostri, di Daniele Campea (2017).

In area Peligna, soprattutto durante il Medioevo, sono sorte molte leggende riguardanti Publio Ovidio Nasone; leggende nelle quali il poeta latino nato a Sulmona nel 43 a.C. “cambia pelle” e viene identificato di volta in volta come mercante, santo e addirittura mago o stregone.

ovidio

“Eco si consuma” da Eco e Narciso – Sit Tibi Copia Nostri, di Daniele Campea (2017)

Di questi racconti tradizionali ce ne dà conto lo studioso e archeologo pratolano Antonio De Nino (1833-1907) che li ha raccolti non soltanto attingendo dagli scritti che altri ricercatori avevano steso e compilato prima di lui, ma anche e soprattutto dalla viva voce dei cittadini di Sulmona o degli abitanti del suo contado. Questo ci dimostra che tali leggende sono rimaste incollate alle solide pareti della memoria e del folklore di questa valle “ricca di fresche acque” per secoli; pareti solide proprio come quelle dei resti del tempio di Ercole Curino che ancora oggi possono essere ammirati alle pendici del Monte Morrone e che, in passato, si credeva fossero i resti della villa di Ovidio.

Se il secondo Ottocento è stato – in misura più o meno ampia a seconda dei casi – caratterizzato da un certo “scientismo” e materialismo, la specificità del De Nino, è stata proprio quella di aver saputo riconoscere quel valore aggiunto rappresentato dalla cultura popolare, “bassa”, che poteva essere affiancata alla cultura “alta” dei dotti e delle accademie, quasi come fosse una sorta di sorella minore. Lo stesso De Nino, del resto, non prescindeva mai dal rigore scientifico delle sue indagini storico-archeologiche, e affermava che:

«se qua e là io intreccio dei brandelli della storia letteraria, lo fo per dimostrare meglio come la storia si trasforma nella fantasia popolare e segnatamente si è trasformata nella mente amorosa dei popolani nostri».

bimillenario ovidiano

“L’Abbraccio” da Eco e Narciso – Sit Tibi Copia Nostri, di Daniele Campea (2017)

Tornando a Ovidio e alla sua terra, si diceva che il poeta si recasse ad una sorgente a sud della Badia Morronese per fare l’amore con una fata o una maga (che abitava nella contrada Santa Lucia) e che lì egli scrisse gli Amores. Non a caso, quel luogo è oggi conosciuto col nome di “Fonte d’Amore”.

Altre storie, invece, ci parlano del fantasma di Ovidio che, nel più classico dei cliché della ghost story, appariva di notte per spaventare coloro che tentavano d’impadronirsi di un favoloso tesoro nascosto tra i ruderi di quella che, come detto, si credeva fosse stata la sua villa. Queste narrazioni erano molto popolari tra gli abitanti della contrada Badia, lasciamo che a raccontarcele sia proprio un contadino della zona, così come le ha riferite ad Antonio De Nino, rigorosamente all’imbrunire, al termine di un sopralluogo agli “scavi di Ovidio”.

«Ci sono dei cavatesori che vengono spesso a scavare; ma il tesoro non si può prendere perché ‘Viddie [Ovidio] non lo permette. Ogni anno, nella vigilia della SS Annunziata, a mezzanotte, Ovidio va in carrozza a quattro cavalli, tra quelle ruine, con tanto fracasso. Se uno andasse allora alle “Poteche” [botteghe, ovvero alcuni degli ambienti del sito archeologico – n.d.a.] per metter le mani sui mucchi di monete che vi si trovano nascosti, passerebbe brutti pericoli; ché, se, nel frattempo ritornasse ‘Viddie, farebbe venire un finimondo; scompiglierebbe tutto.

Io conobbi un negromante che provò a prendere il tesoro in compagnia di molti contadini, ma poiché ‘Viddie voleva un’anima innocente in sacrificio, fu un vedere e non toccare. Tre grossi serpenti stavano a guardia dei tre mucchi d’oro. V’erano poi anche lupi, orsi, leoni, tigri che minacciavano di divorare chiunque s’avvicinava.

C’è qualche altra cosa. Un pastore che abita presso le “Poteche de ‘Viddie”, una volta sentì aprire un portone fra quelle rovine. Egli s’internò e vide una fila di sette stanze. Alla sesta stanza, pendevano dalle pareti tanti pelliccioni d’oro. Alla settima stanza, stava seduto ‘Viddie con una sagliocca [mazza di ferro – n.d.a.] in mano. Intorno introno si vedevano sette barili colmi di verghe d’oro e d’argento. Come Ovidio vide entrare il pastore, gridò: «Vedere e non toccare, se sagliocca non vuoi provare!». Il pastore fu preso da una tremarella, e si diede alla fuga; e quasi non indovinava gli usci! Nella prossima notte, mentre il pastore dormiva alla capanna, sentì un rumore.

Era un moretto con in testa un berretto rosso e tirava i piedi al pastore. Il poveretto ancora sta a gridare!

eco e narciso

“Narciso” da Eco e Narciso – Sit Tibi Copia Nostri, di Daniele Campea (2017)

E sentite ancora. Uno dei nostri, pascolando il gregge vicino alle Poteche, vide una chioccia con sette pulcini coi campanelli d’oro. E quello stupido non seppe chiappare neanche uno di quei pulcini! Ché allora si sarebbe spalancata la terra, venendo a galla un tesoro immenso. Ma la chioccia si ficcò in una buca, e i pulcini appresso alla chioccia. E da quella buca uscì una voce che diceva: «Povero sei nato, e morirai povero»!

Un altro, vide a Santa Lucia tante palombelle bianche. Ma neppur lui seppe chiapparne una. Anche a Santa Lucia dev’esserci il tesoro. E sicuro, perché vi dimorava la sposa di Ovidio.

Dicono che ‘Viddie avesse un’altra casa ad Orsa [piccolo castello medievale, i cui pochi resti si trovano a nord-ovest della Badia – n.d.a.], che era un paese distrutto dalle formiche. Anche là c’è un tesoro, ma sta chiuso in cassone di ferro. Chi vuol prenderlo, deve andare incontro a un caprone. Dopo il caprone, vedrà uno con la miccia accesa, il quale sta per dar fuoco a un grosso cannone… Oh Dio! – Ma, detto “oh Dio!” Sparisce ogni cosa.

‘Viddie dalle Poteche andava in carrozza, passando pel palazzo della fata; e poi si dirigeva a Sulmona. Quando non va in carrozza, passeggia per le falde del Morrone con due candele accese in mano!».

metamorfosi ovidiane

“Narciso si specchia” da Eco e Narciso – Sit Tibi Copia Nostri, di Daniele Campea (2017)

Come detto in precedenza, Ovidio era creduto anche santo, e puntualmente il De Nino riferisce un’altra credenza secondo la quale il poeta, dopo aver amoreggiato alla “Fonte d’Amore”, saliva alle Poteche per fare penitenza nello stesso luogo dove, sullo scorcio del Duecento, Pietro Angeleri (futuro papa Celestino V), quasi a voler rinsaldare il nodo del filo rosso che unisce paganesimo e cristianità, costruì o restaurò la chiesa di Santa Maria in gruttis (o in criptis), che forse derivò il nome dalla presenza di grotticelle e anfratti aperti tra le rocce, oppure proprio dagli ambienti coperti a volta appartenenti all’antico tempio pagano.

[Leggi anche | Brevi, scapolari e amuleti: Kvlto#6 – Riti pagani in Abruzzo]

Non dimentichiamo che Ovidio, sempre secondo la credenza popolare, era pure un ricco mercante. A tal proposito, De Nino riporta un detto all’epoca diffuso a Sulmona e usato quando si trattavano questioni economiche e, in particolare, nelle richieste di ingenti somme di denaro: «Vattele a fa’ da’ a ‘Viddie ‘nnante corte” (“vattene a far dare ad Ovidio innanzi alla Corte“, ovvero all’antico municipio dove si trovava una sua statua).

daniele campea

“L’incontro” da Eco e Narciso – Sit Tibi Copia Nostri, di Daniele Campea (2017)

Leggende, paganesimo, cristianesimo, folkore, superstizione e magia: vari sono gli elementi che si rincorrono mescolandosi e sovrapponendosi durante la lenta ma inarrestabile staffetta della Storia.

E se le monete d’oro custodite da Ovidio rappresentavano probabilmente l’idealizzazione in chiave fantasiosa di una ricchezza alla quale il popolino aspirava (desiderio che consapevolmente e forse anche un poco amaramente sarebbe rimasto inesaudito), tesori di ben più pregiata natura sono stati rinvenuti alla fine degli anni Cinquanta durante uno scavo archeologico che ha chiarito definitivamente la natura di quel luogo: pavimenti musivi, iscrizioni, terrecotte, un’ara bronzea e, su tutto, la statuina bronzea dell’ ”Eracle in riposo” (oggi al Museo Archeologico Nazionale di Chieti), ritenuta di mano di Lisippo, uno dei più grandi scultori dell’antichità classica. Insieme a questo vario gruppo di manufatti, gli scavi hanno riportato alla luce anche i vari ambienti che componevano il grande luogo cultuale che, edificato in epoca italica, fu ingrandito in età romana verso la fine del I secolo a.C. e poi semidistrutto da una frana provocata da un terremoto nel II secolo d.C.

Così, sfatata la tradizione della “Villa d’Ovidio”, ne hanno guadagnato l’archeologia e la storia dell’arte.

Con buona pace di Ovidio e della sua spettrale quadriga scalciante.

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Bibliografia:

  • Antonio De Nino, “Tradizioni popolari abruzzesi. Scritti inediti e rari”, vol. II, a cura di Bruno Mosca, L. U. Japadre Editore, L’Aquila, 1972.
  • Ezio Mattiocco, “Sulmona. Guida storico-artistica alla città e dintorni”, Carsa Edizioni, Pescara, 2009.

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Gotico Abruzzese

Vivo a Sulmona e ho frequentato le università di Chieti e de L'Aquila, dove ho ultimato gli studi. L'interesse che ho da sempre nutrito per la storia, le usanze e le tradizioni della mia terra, insieme alla passione per l'arte, mi ha spinto a diventare una guida turistica abruzzese, professione che svolgo dal 2010.