Di Antonio Secondo.

Gagliano Aterno, L’Aquila – 300 abitanti circa.

Nel piccolo alimentari del paese hanno lo stretto indispensabile e tra questo non è incluso frutta e verdura fresca. Ho l’abitudine di mettere le carote praticamente in ogni condimento che preparo e mi scoccia dovervi rinunciare nel sugo di oggi. Mi ricordo però di avere alcune patate, così mi alzo di buon mattino e preparo due vassoi di gnocchi, uscendo subito dopo con uno di essi sotto braccio.

La signora Concetta vive a poca distanza da me, in una delle ultime case del paese oltre le quali non c’è che il bosco e strette mulattiere di montagna. E’ molto felice di ricevere i miei gnocchi e mi chiede se può fare qualcosa per me, così, oltre che con un paio di grosse carote, esco da casa sua con un mazzetto di sedano, un barattolo di marmellata fatta in casa, varie nozioni a proposito della preparazione del “grugnale” (un liquore a base di dolci bacche di montagna simili, a detta sua, a olive ma dal gusto di dattero) e una lunga e bella storia su una vita di lavoro in Svizzera, francese prima e tedesca poi, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60.

borghi abruzzesi

La fontana medievale del paese, costruita nel 1334 per volere di Isabella D’Acquaviva.

Mentalità paesana è il termine che mi appare più appropriato, nonostante di questa non restino che lievi e soffocati focolai, sparsi qua e là tra gli stretti vicoli dei più remoti villaggi abruzzesi, dove la condivisione e la socialità, per cause di forza maggiore, rappresentano ancora un aspetto importante e necessario della vita quotidiana. Questo tipo di mentalità, che ha a mio avviso molto da insegnare alla mia generazione, sta svanendo, soppiantata dagli irraggiungibili ritmi del mercato globale e delle connessioni a banda larga di quel mondo nuovo in cui adolescenti incapaci di comunicare senza l’ausilio di qualche grammo di MD sembrano sfiorarsi di continuo senza riuscire mai a toccarsi.

Qui, a Gagliano Aterno, borgo medievale dell’Abruzzo aquilano ai piedi del massiccio del Sirente, i ragazzi del mondo nuovo li trovi ancora alla fermata dell’autobus, la “pensila”, come la chiamano loro, come quelli delle generazioni che li hanno preceduti sin dalla costruzione di quest’ultima.

secinaro

La pensila

E’ inizio Agosto, un bel momento per il paese, in cui famiglie di romani e aquilani rientrano nelle case di villeggiatura, orde di ragazze americane della Wayne University di Detroit si apprestano a tornare a casa dopo un l’annuale mese di vacanza studio dedicata alla lingua e alla cultura italiana e tra le antiche rue torna a farsi udire quel chiacchiericcio di persone e televisioni e animali e stoviglie quasi dimenticato durante i lunghi e deprimenti inverni che caratterizzano queste zone. In luoghi come questo le estati sembrano conservare ancora il carattere sacrale di quelle dei nostri avi, anche se per motivi diversi.

I ragazzi del mondo nuovo chiacchierano e si divertono, nonostante appaiano tutti visibilmente provati dalle lunghe notti alcoliche che le numerose sagre organizzate a ciclo continuo nei diversi paesi del circondario impongono loro, come in un autoctono e provinciale Spring BreakersAscoltano canzoni di Salmo appoggiando gli smartphone sul tavolo di legno e vestono snapback della Doomsday e Jordan ai piedi come i loro confratelli di Porta Palazzo o San Basilio, ma hanno un carattere diverso, anche se non lo sanno.

Mi incammino a piedi scendendo quello che da queste parti chiamano “il ponte” mentre un assolo di sassofono sembra riecheggiare in tutta la valle.

Un uomo molto anziano siede fuori dalla sua abitazione, imbraccia lo strumento suonando senza nascondere una certa fatica ma al tempo stesso una dignità senza pari. E’ il signor Tonino, ultimo membro rimasto in paese di quella che una volta era considerata tra le bande musicali più importanti di tutta la regione.

Gli altri sono morti o andati via, in Canada o Argentina. Qui sono rimasto solo io” dice e poi torna a suonare una commovente Ave Maria, forse in ricordo di tutti loro.

Uno degli ultimi componenti è morto solo qualche anno fa, mi spiega, fino all’ultimo i due hanno suonato assieme, uniti come solo due amici con una passione in comune sanno essere e nel racconto del signor Tonino c’è tutta la naturale nostalgia dei bei tempi andati di chi ha novantaquattro anni e parecchie storie da raccontare.

Proseguo ancora la mia passeggiata verso il centro storico, fermandomi di tanto in tanto per curiosare, ora nel chiostro di Santa Chiara, ex convento di clarisse tra i più antichi d’Abruzzo, ora nelle case fantasma e nelle cantine nascoste tra i vicoli, sulle cui chiavi di volta delle porte è possibile ammirare bassorilievi con foglie di cardo mariano, pianta famosa nella tradizione contadina abruzzese per via delle sue potenti caratteristiche benevole, avversarie della sfortuna e dell’invidia.

gagliano aterno

Le chiavi di volta con foglie di cardo, altre piante e figure apotropaiche sulle chiavi di volta dei portoni.

Assieme a queste, abbastanza diffuse in paese sono inoltre le incisioni riportanti la scritta J.H.S. (Jesus Homines Salvat) inscritte in un cerchio o sole, simbolo di devozione alla parola di San Berardino da Siena.

che significa IHS

I.H.S. – incisione su architrave

Le targhe tra i bivi delle strade, le scritte a vernice rossa inneggianti Badoglio o moti del primo ‘900 sull’intonaco sbiadito delle abitazioni, i ganci per la carne e gli anelli per parcheggiare gli animali: visto da una certa angolazione il paese non ha tempo, elementi moderni ed arcaici convivono a distanza di pochi centimetri e alle volte viene davvero da chiedersi in che anno si sia tornati se i primi vengono a mancare.

Per strada si incontrano molti forestieri. Li riconosci in quanto tutti più o meno impegnati a pulire e rassettare case rimaste chiuse per intere stagioni. Scambiano volentieri gesti di saluto ma non concedono nulla di più.

castelvecchio subequo

Graffiti novecenteschi tra le antiche rue, in uno scenario senza tempo

Dal 1911 ad oggi il paese ha perso la quasi totalità dei suoi abitanti, passando da un notevole 2118 a poco più di 300 elementi nel giro di un secolo. Molti di loro sono approdati ad Hamilton, città canadese a pochi chilometri da Toronto oggi gemellata con il borgo e nella quale ogni anno le famiglie di origine gaglianese si ritrovano per festeggiare le loro radici e la loro cultura. Quasi tutti hanno semplici e divertenti storie da raccontare e lo fanno con quella parlata tipica degli italo americani che a stento conoscevano la loro lingua madre quando hanno lasciato la penisola. Da bambino partecipai ad una delle loro feste durante un viaggio in Canada con mia madre. Di quella festa ricordo solo un gran chiasso, un cappello bianco con il galletto della bandiera gaglianese ricamato in rilievo e mia madre preda di decine di emigranti che la invitavano ai loro tavoli chiedendole di quel paese che tanto mancava loro.

I loro figli non ci trovano granché e oggi, più che dai canadesi, il borgo è ambìto da danesi e da altre famiglie provenienti dal nord Europa. Cercano la calma e il silenzio della provincia, le alte montagne e soprattutto quell’odore di antichità e storia impressa in ogni dove che nei loro rispettivi paesi possono annusare giusto sui libri di scuola.

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La cappella medievale sotto l’arco

Ora che il mondo sta cambiando anche Gagliano, seppur lentamente a causa della sua morfologia, si adegua al mutamento, come il resto dei paesi del circondario, come tutti i più remoti villaggi isolati tra le montagne di questa regione.

La sua gente tiene ancora a quella identità che nel tempo ha reso unico un paese così vicino eppure così lontano dagli altri che lo circondano, perpetuando sempre la memoria storica del suo piatto tradizionale, J’ntremè, a base di fegato e coratella d’agnello, le annuali manifestazioni per Sant’Antonio e San Martino, con relativa processione della prucidienza annessa, e il suo ritmo lento, velato, orgoglioso e schivo, come quello dei paesi di montagna.

Così vicino e così lontano al resto del mondo, alle nuove guerre fredde dell’informazione globale, al chiasso della Capitale, al progresso, all’imprevedibile futuro che lo aspetta ma soprattutto al passaggio di mano tra la generazione a piedi scalzi della signora Concetta e quella dei ragazzi del mondo nuovo, che qui, a causa dell’intenso vuoto, è possibile distinguere più che altrove.

Vivo a Sulmona (AQ), dove sono nato e dove da qualche anno ho deciso di tornare a vivere. Mi occupo di web content e redazione di articoli, saggi e sceneggiature. Dall'autunno del 2013 sono inoltre editor di Gotico Abruzzese, un progetto nato con l'intento di raccontare un Abruzzo onirico e fuori dall'ordinario.