Durante il servizio di guida nella Cattedrale di Atri, nelle Giornate FAI di Primavera del 2015, accadde un fatto piccolo, ma assolutamente singolare, mai visto né prima né dopo.

Stavo spiegando già da un po’, quando una giovane signora sulla quarantina, che appena conoscevo, si avvicinò e mi chiese se poteva unirsi nonostante avesse le buste della spesa.

Non sto fino alla fine, lo vedi, sto ‘ngiampata, però qualcosa sulla chiesa nostra mi piace a saperlo

In quelle giornate tra i visitatori c’erano molti atriani, è ovvio, anche se si erano diretti verso quei monumenti meno visibili durante l’anno piuttosto che alla sempre frequentata Cattedrale. Ma quell’atriana non aveva programmato per quel giorno di fare una visita guidata, doveva semplicemente andare al Conad vicino Piazza Duomo e subito riprendere la macchina. Eppure gli viene voglia di sapere. Non sulla Cattedrale, ma sulla chiesa nostra. A rifletterci dopo, la cosa mi illuminò. Mi fece vedere il Duomo di Atri in una maniera diversa e mi fornì la chiave per poter capire più in profondità quello che si era scritto sulla storia della chiesa, sulle sue opere d’arte, senza però intendere ciò che quell’incontro mi aveva dato.

Perché Santa Maria è “nostra”.

Una Cattedrale è la sede della Cattedra del Vescovo, dunque è la chiesa principale della diocesi e della città. Spesso però la religiosità popolare si concentra non in questa chiesa, chiusa nel suo ruolo ufficiale, ma in quelle dove si trovano i santi più venerati; altrettanto spesso però la Cattedrale riesce a conquistare i cuori se custodisce, ad esempio, le reliquie del patrono, come Sant’Emidio ad Ascoli Piceno.

Ad Atri la Cattedrale di Santa Maria Assunta è la chiesa principale sia ufficialmente sia affettivamente. Fu forse la prima chiesa a sorgere in città; è l’unico luogo di culto dentro le mura dedicato alla Madonna, patrona principale, onorata in varie feste di cui le più solenni, l’Immacolata Concezione (8 Dicembre) e l’Assunzione (15 Agosto), si svolgono proprio qui.

arte classica abruzzo

“Incontro di Gioacchino e Anna alla Porta Aurea”, Andrea de Litio.

Ma c’è di più. Il rapporto tra il Duomo e gli atriani forse non c’è negli altri centri abruzzesi dotati di una Cattedrale; è un legame quasi morboso, gli atriani, nonostante la presenza di undici chiese più tre suburbane, tutte ricche di storia e arte, non giudicano nessun’altra chiesa più bella di questa e hanno concentrato tutte le feste più importanti dell’anno qui.

I palazzi delle famiglie altolocate, se confrontati con la varietà architettonica degli altri centri abruzzesi, si presentano almeno esternamente molto sobri, quasi a non voler contrastare la salda geometria del Duomo. Gli edifici di Piazza Duomo non superano in altezza la Cattedrale, anche il Teatro Comunale, costruito proprio di fronte nell’Ottocento laico e positivista quasi come una sfida, si limita solo ad eguagliarla.

Nel dialetto atriano non esiste un termine che possa tradurre “Cattedrale” o “Duomo”: si parla solo di chijse de Sanda Marije, che pur abbassando il grado non sminuisce, anzi lascia percepire il senso di affetto verso la chiesa nostra. In questa espressione sembra quasi sentirsi un’eco del nome originario della Cattedrale, l’Ecclesia de Sancta Maria de Atria, ricordata dalle fonti dal X secolo, sorta in un’area periferica, quella del mercato, che grazie a questa presenza invece cominciò a diventare il nuovo centro.

In quel tempo Atri non era più la ricca città romana, era in decadenza e solo molto lentamente aveva visto formarsi una comunità cristiana, per questo sotto il profilo religioso faceva parte della diocesi di Penne mentre politicamente era amministrata dai Conti di Apruzio, presso Teramo. Poi, la cosiddetta rinascita dell’anno 1000 e qualcosa inizia a cambiare.

Duomo di Atri, navata centrale | © Gotico Abruzzese

Duomo di Atri, navata centrale | © Gotico Abruzzese

Se l’aristocrazia feudale e latifondista era concentrata a Teramo e a Penne, ad Atri si poté sviluppare un ricco ceto borghese impegnato in attività commerciali, grazie anche alla vicinanza con il mare. E questa Atri borghese, arricchitasi solo grazie alle sue forze, alla fine decise di farsi sentire: nel 1250, alla morte dell’imperatore e re di Sicilia Federico II di Svevia, che causò una situazione confusa nel Sud Italia, mentre tutte le città della zona erano ghibelline, parteggiavano cioè per la famiglia imperiale, gli atriani si schierarono con il nemico del defunto monarca, papa Innocenzo IV.

Atri fu la prima città guelfa d’Abruzzo, l’unica assieme a L’Aquila (fondata nel 1254).
L’anno dopo il pontefice regalò agli atriani quello che si aspettavano dalla mossa, la Diocesi e il Comune. Era importante soprattutto la concessione della Diocesi: allora, per poter essere sede di un potere politico ed essere definito “città”, un centro doveva avere una propria diocesi. Ecco perché, di tutti gli edifici pubblici che ora servivano ad Atri, gli sforzi maggiori si concentrarono sulla Cattedrale, ruolo per la quale fu scelta l’antica Santa Maria, che ovviamente doveva essere rifatta e ingrandita.

La Cattedrale rappresentò per gli atriani la concretizzazione della loro tenacia politica e morale: mantennero sempre l’indirizzo guelfo e l’etica borghese, nonostante fossero circondati da città ghibelline e aristocratiche sempre pronte ad attaccarli, nonostante nella prima metà del ‘300 una violenta guerra civile tra Guelfi e Ghibellini avesse addirittura ridotto le dimensioni della città.

Attorno alla chiesa e alla sua piazza, come una sorta di emanazione, si disposero gli edifici “pratici” delle attività politiche ed economiche, privi dell’esaltazione ideale che aveva il Duomo e per questo molto più semplici: di fronte il Palazzo Comunale, in dialogo con il potere religioso, per significato analogo al Teatro che fu costruito al suo posto secoli dopo; le Carceri e il Palazzo di Giustizia; le botteghe artigiane.

Nel ‘600 al posto delle botteghe fu costruito il Seminario, che però diventò anch’esso un punto “laico” poiché oltre agli aspiranti sacerdoti vi potevano studiare i rampolli delle famiglie benestanti, diventando antenato dell’attuale Liceo. Infine, per celebrare la fine delle guerre civili, nel 1355 si costruì la chiesa di Santa Reparata, patrona di Firenze, principale città guelfa, che fu dichiarata “protettrice” nel senso di simbolo della comunità atriana, senza togliere il ruolo alla Madonna: il tempio, di proprietà del Comune e decorato con i suoi colori, il rosso e il blu, fu edificato accanto e in comunicazione con il Duomo e dunque rappresentava la stessa Atri, guelfa, che si metteva sotto la protezione di Maria.

duca di atri

Altare di San Nicola dei Sarti | Da Wikimedia Free Common

Dentro il Duomo si svolgevano le più importanti assemblee cittadine, il Palazzo Comunale era solo il contenitore di uffici e burocrazia. Tra ‘400 e ‘500 nelle navate furono costruiti gli altari delle Arti, le associazioni di mestiere che avevano il potere, oggi spostati nel Museo Capitolare, tranne quello in pietra di San Nicola dei Sarti; le famiglie private possedevano altari e cappelle in altre chiese e solo alla fine del ‘500, quando il dominio spagnolo portò alla decadenza economica di Atri e alla trasformazione aristocratica della borghesia, apparvero anche nel Duomo, peraltro pochi (gli altari degli Arlini e dei Corvi).

Contro il duca.

Se la Cattedrale era il luogo in cui gli atriani riconoscevano la propria identità, si spiega perché se la presero molto quando osarono costruire un altare gli odiatissimi Acquaviva.

Essi avevano preso il potere come duchi di Atri fin dal 1395, comprando la città dal re di Napoli, senza soffocare il governo comunale, che fu un’eterna spina nel fianco e cercò sempre di sobillare la popolazione alla rivolta.

L’arresto del duca Andrea Matteo III a Napoli nel 1503 per lesa maestà gettò nella disperazione la corte ducale, consapevole della grande facilità con cui ora gli atriani potevano ribellarsi.

cattedrale abruzzo

Duca di Atri, particolare affresco.

La moglie, Isabella Piccolomini, come ex voto per la salvezza del marito costruì nel Duomo l’altare di sant’Anna, opera di Paolo de Garviis di Como, sfruttando l’uso tradizionale della chiesa da parte del potere pubblico, di cui lei e il marito si sentivano supremi rappresentanti, anzi rafforzandolo in quel momento di debolezza. Ma per gli atriani, nella loro chiesa, un’opera del genere non poté che far ribollire il sangue: la duchessa e i suoi figli scapparono appena in tempo da Atri e il popolo scaricò la sua violenza facendo a pezzi l’altare ducale.

Appare strano come non fu cancellata sul Battistero la firma di De Garviis, che con orgoglio diceva di essere l’autore della cappella del duca; lui era da poco ad Atri e non aveva ancora ben compreso i suoi meccanismi sociali, ovvero: meno si parla del duca, meglio è.

Andrea Matteo, al suo ritorno (1507), obbligò gli atriani a ricostruire l’altare com’era e dov’era e scelse di adibirlo a tomba di famiglia, uno smacco all’orgoglio atriano nella chiesa più amata; la caduta dei duchi era stata solo un sogno, ma il desiderio di rivalsa rimase: quando nel 1760 l’ultima duchessa morì senza figli e il ducato finì in maniera naturale, i cittadini non osarono toccare l’altare, poiché ormai legati a Sant’Anna, ma profanarono le tombe degli Acquaviva.

Contro il vescovo.

Anche i Vescovi riuscirono a gestire la chiesa poco più facilmente. I vescovi, dal momento della costruzione, non hanno mai fatto modifiche architettoniche ed estetiche come nelle altre Cattedrali abruzzesi, probabilmente perché si sarebbero scontrati con gli atriani.

C’è un racconto che sembra tramandare queste ostilità. Un’acquasantiera della navata centrale è una statua di inizio ‘400 di una che donna che, come le contadine abruzzesi, regge sul capo il bacino. La chiamano troccoletta, termine che indica una donna di facili costumi, anche se oggi ad Atri viene usato per indicare le persone basse come la statua.

La “Troccoletta” | © Andrea Jemolo, Scala Picture Library Florence

La troccoletta ha una scollatura molto ampia, si alza la gonna, scopre le gambe; si dice che avesse un’espressione ammiccante e nelle mani reggesse dei fiori. Questa raffigurazione molto profana faceva parte di una fontana pubblica; quando fu distrutta, la scultura fu portata nel Duomo con la funzione attuale.

Gli atriani tramandano che un vescovo avesse voluto togliere la statua perché indecente, ma incontrò la fiera opposizione dei fedeli che gli concessero solo, e di malavoglia, di raschiare il volto e troncare di netto i fiori. Per questo i vescovi hanno preferito risiedere nella più docile Penne (anche se fu istituita una nuova diocesi, i vescovi di Atri e Penne furono in comune); il loro primo palazzo atriano era molto lontano dalla Cattedrale, mentre l’attuale residenza in Piazza Duomo, del ‘500, è molto piccola e marginale rispetto agli altri edifici.

Nel 1462 un vescovo, Amico Buonamicizia, originario di Città Sant’Angelo, che da sempre voleva sottrarre la diocesi a Penne e ad Atri, fu addirittura cacciato dagli atriani.

Antonio Probi, un coltissimo canonico del Duomo e ambasciatore del re di Napoli a Venezia, aiutò i concittadini e ovviamente divenne il nuovo vescovo.

L’esaltazione degli atriani nella Vita di Maria.

Si capisce bene perché un atriano come Probi riuscì a governare indisturbato la diocesi fino alla morte, nel 1483, e a lasciare nella città natale un segno importante del proprio episcopato.

Fu lui a commissionare l’opera più importante della chiesa, uno dei capolavori della pittura quattrocentesca nell’Italia centro-meridionale: gli affreschi del Coro con le Storie di Maria alle pareti, Evangelisti, Dottori della Chiesa e Virtù sulla volta, vari Santi sugli archi e sulle colonne, dipinti dal marsicano Andrea De Litio (1420-1490 circa).

probi atri

“San Gregorio Magno”, Andrea De Litio, ritratto del Probi | © Giovanni Lattanzi

Il vescovo si è fatto ritrarre ben quattro volte all’interno di questo ciclo, a perpetuare la sua memoria di vescovo e di cittadino di Atri, che lui aveva omaggiato con quest’opera. E gli affreschi, in particolare le scene narrative della vita della Madonna, si presentano tutti come una rappresentazione ed un’esaltazione della civiltà atriana di quel tempo, che vuole trasmettere i suoi valori alle future generazioni, e si sente del tutto degna di poter essere il set della storia della Madre di Dio.

"Presentazione di Maria al Tempio", particolare. Il sacerdote che accoglie Maria è il Probi. | © Giovanni Lattanzi

“Presentazione di Maria al Tempio”, Andrea De Litio – particolare. Il sacerdote che accoglie Maria è il Probi. | © Giovanni Lattanzi

Uomini e donne in abiti semplici (gli atriani erano molto parsimoniosi, dicono le fonti, o almeno lo vogliono far credere…), si muovono all’interno di una Atri più o meno trasfigurata dal pittore, immersa nelle attività del tempo. In due casi è possibile riconoscere vedute della città: nella Natività sarebbe il centro fortificato sullo sfondo, fronteggiato dall’altura dove si trovano due impiccati, il Colle della Giustizia perché luogo delle esecuzioni capitali; nell’Incontro di Anna e Gioacchino alla Porta Aurea il pittore sembra aver voluto rappresentare uno degli accessi urbani con accanto gli archi di una fontana, come era tipico di tutte le porte di Atri (forse Porta San Domenico con la Fonte Canale?).

Veduta di Atri con gli impiccati sul Colle della Giustizia | © Giovanni Lattanzi

Ma ciò che rende ancora più vive quelle storie è la grande diversità di tipi umani presenti, e se oggi riusciamo a riconoscere solo il vescovo, forse all’epoca era tutto un discutere tra i fedeli per capire chi di loro fosse stato rappresentato. De Litio visse dentro le mura almeno cinque anni, dal 1464 al 1469, dunque doveva conoscere bene gli atriani.

Del forte impatto dell’opera sulla comunità si accorse nello stesso momento il duca Giulio Antonio Acquaviva, che fornì ulteriori finanziamenti , si fece raffigurare con il figlio Andrea Matteo sopra un arco laterale del Coro e fece apporre il suo stemma su una colonna, insomma in maniera molto discreta cercò di farsi propaganda.

Una Cattedrale per modo di dire.

Forse ora si capisce perché la signora con la spesa, con grande naturalezza, abbia parlato di chiesa nostra. L’atriano è segnato fin dalla nascita dalla presenza incombente, eppure rassicurante, del Duomo, visibile da molto lontano grazie all’alto campanile, e chi se ne va difficilmente dimentica le proprie origini.

A questa chiesa sono legati i ricordi d’infanzia, anche di chi non fa parte della parrocchia del Duomo. Benché non tutti possono comprendere il valore oggettivo delle opere d’arte, gli sguardi degli innumerevoli santi raffigurati trasmettono sensazioni forti e durature.

Riti secolari si rinnovano sempre uguali nella Cattedrale e allo stesso tempo il piccolo atriano che per la prima volta assiste ad essi pare averli vissuti da molto più tempo. Così, se ha un po’ di tempo, capita che un atriano, con la stessa naturalezza con cui rientra a casa sua (perché lo è!), entra a farsi un giretto nel Duomo. Va a guardare quel pullulare di vita antica negli affreschi perché, magari inconsapevolmente, capisce che quella vita è direttamente collegata a lui.

Una Cattedrale ad Atri era necessaria, senza diocesi la città non sarebbe stata quasi niente; ma quella parola forse qualche atriano nemmeno l’ha capita, per tutti è la Chiesa (nostra) di Santa Maria. Più che essere il Duomo di Atri, è il Duomo degli Atriani.

Per la cronaca, la signora con la spesa poi ha seguito tutta la visita. Senza mai poggiare le buste, che erano pure belle piene.


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Nato ad Atri (Te), studio Beni culturali all'Università di Firenze, ma mantengo sempre un piede in Abruzzo. Collaboro con alcuni eventi e istituzioni culturali della mia città e sono membro del FAI Giovani Teramo. Per il resto, ad maiora!