Brucia da giorni la regione Abruzzo. Roghi nel pescarese, nell’aquilano e in Valle Peligna, dove numerosi incendi di matrice dolosa hanno ridotto in cenere oltre 2.000 ettari di boschi sul monte Morrone, nel Parco Nazionale della Majella.

Una montagna sacra, quella dei peligni, che fu dimora dell’ascetismo di Pietro da Morrone e riparo di partigiani e militari in fuga durante il secondo conflitto mondiale. I prigionieri inglesi, polacchi, slavi reclusi nel Campo di Prigionia 78, alle pendici del versante occidentale del massiccio, la attraversarono dopo l’armistizio dell’8 Settembre per ricongiungersi alle truppe di commilitoni che premevano al di là del fronte, lungo la Linea Gustav.

Una montagna teatro di mille suggestioni, che dal Colle delle Fate, in cima al borgo di Roccacasale, fino alla all’eremo di Sant’Onofrio dove Celestino V visse i suoi anni da anacoreta, narra le gesta di chi, come il popolo peligno, si legò a doppio filo con questa terra acquisendone il carisma.

Parco Nazionale della Majella

Il Morrone, qualche settimana prima dell’incendio.

La notte del 19 Agosto, quella del primo incendio, mi sono avvicinato in compagnia di un amico giornalista fin quasi al fronte del fuoco per scattare delle fotografie e osservare quanto stava accadendo. Si trattava dell’ennesimo innesco avviato dopo quelli alle porte dei comuni di Pacentro e Rocca Pia nei giorni precedenti. Il tratto interessato dall’incendio era illuminato a giorno, il fronte del fuoco una vera e propria apocalisse, con fiamme scarlatte che svettavano oltre le cime del bosco lambendo le silhouette inermi dei pini, che risaltavano in controluce.

incendio morrone

Il fronte del fuoco, la notte del primo incendio.

Una notte lunga, trascorsa ad osservare la montagna insieme a tantissimi concittadini, tutti rigorosamente col naso all’insù e l’amaro nel cuore.

Questa terra” – mi dice Savino, l’amico giornalista – “riscopre un valore comunitario solo in occasione di feste e tragedie“.

Incendi abruzzo

Il fronte del fuoco, quella stessa notte.

È stato un anno durissimo per i peligni. L’emergenza neve dello scorso inverno è stata per gran parte del tempo accompagnata da inquietanti scosse di terremoto che hanno proiettato per giorni i cittadini della valle in una dimensione paranoica. Rientrata l’emergenza, e passata una placida primavera, è iniziato il gran caldo che ha creato le condizioni essenziali per quello che negli ultimi giorni si è dimostrato un vero e proprio attacco al territorio.

All’incendio del Morrone, definito catastrofe ambientale da un articolo del National Geographic, si sono aggiunti in pochi giorni i roghi di Prezza, Raiano e Secinaro, tutti di matrice dolosa, decretando di fatto l’attuazione di un piano mirato alla realizzazione di un vero e proprio cerchio di fuoco nel circondario.

Una mappa degli incendi e inneschi rinvenuti trovata online.

In pochi giorni ci è stata fatta, letteralmente, terra bruciata attorno.

Qualcuno sta dichiarando guerra alle nostre case, al nostro ambiente, e le istituzioni non possono restare inermi.” – è quanto affermato dall’attivista Marco Alberico, membro del Collettivo AltreMenti Valle Peligna, nel corso di una conferenza pubblica tenutasi il 1 Settembre scorso in Piazza XX Settembre a Sulmona, per fare il punto sullo stato dell’incendio.

L’impegno del collettivo, insieme a quello di tanti volontari, sia della zona che giunti da altre località, e quello di alcuni amministratori locali come i sindaci di Pratola Peligna, Roccacasale, Prezza e Raiano ha permesso nei giorni di massima emergenza di ricevere continui aggiornamenti in merito alla situazione degli incendi, e di operare sul campo per la realizzazione di linee tagliafuoco al fine di isolare i paesi dal fronte del fuoco. Nel disastro, il rogo ha miracolosamente risparmiato i borghi più prossimi,  i rifugi e altri siti di interesse attigui al suo passaggio.

Come nel caso della piccola chiesa montana di San Pietro, situata in cima all’omonimo colle, il cui bosco nelle vicinanze è stato completamente distrutto dalle fiamme.

incendi valle peligna

Colle San Pietro, con la chiesa montana sullo sfondo, prima e dopo l’incendio.

Oppure in quello del “Rifugio delle Vacche“, particolarmente caro alle popolazioni di Pratola Peligna e Bagnaturo, il cui riscatto dalle fiamme è stato giorni fa ben descritto dalle parole di Antonella Di Nino, prima cittadina del paese:

L’operato di altre istituzioni invece è stato pressoché insufficiente. A partire dallo Stato, del quale mai si è sentita la presenza (e a dirla tutta la mancanza) i cui sporadici interventi si sono concentrati più sul limitare l’ingresso al fronte dell’emergenza che a risolverla in sé. In questo quadro si inseriscono anche l’amministrazione comunale di Sulmona, il DOS e la direzione del Parco Nazionale della Majella, che con ripetute e disorganizzate gaffe nella gestione della criticità in atto hanno fatto infuriare quanti speravano in una celere risoluzione del problema.

Ma chi ha deciso di trascendere dal cattivo operato e puntare, come sempre, direttamente alla vergogna è invece la presidenza della Regione, che vista l’ultima figuraccia mediatica avvenuta proprio nei pressi di Sulmona qualche mese fa ha evidentemente deciso di non smentirsi. Eppure, gli scatti mirati ad immortalare le innumerevoli passerelle politiche del presidente Luciano d’Alfonso lungo il fronte dell’emergenza non hanno rappresentato l’irritazione maggiore per chi invece stava dedicandosi anima e corpo a tutelare la propria comunità dal pericolo incombente. Quello che più ha fatto infuriare cittadini e rappresentanti istituzionali, anche fuori dalla Valle Peligna, è stata la convocazione a soli 4 giorni dall’inizio del primo incendio sul Morrone, quindi in piena emergenza, di un tavolo tecnico in favore del rimboschimeto. Il desk, previsto per il 13 Settembre, dovrebbe discutere la deroga delle attuali disposizioni di legge, che prevedono il divieto di rimboschimento nelle aree interessate da incendi per i 5 anni successivi al disastro. Questo in previsione di interventi sulle aree boschive per milioni di euro da investire complessivamente su tutto il territorio regionale.

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Luciano D’Alfonso in compagnia dell’assessore regionale Andrea Gerosolimo e del sindaco di Sulmona Annamaria Casini in “visita” a una delle tagliafuoco del Morrone.

Questo aspetto della legge in questione, la n. 353 del 2000, fu inserito proprio per arginare la dilagante abitudine di appiccare incendi per speculare sui terreni o sulle operazioni di bonifica e rimboschimento. Inoltre, la naturale ripresa della flora fuori dalle logiche di rimboschimento permetterebbe il ritorno di varietà autoctone come  roverelle, ginestre e aceri, scomparse a seguito dei rimpianti di pino nero avvenuti dal primo dopoguerra fino agli anni ’70.

L’ultimo rimboschimento fu attuato proprio in quegli anni per arginare i rischi derivanti dal potenziale dissesto idrogeologico sui versanti interessati a valle dalla presenza di insediamenti antropizzati. Su questa scia, o per meglio dire su questo timore, stanno tentando di far leva i più interessati, direttamente o indirettamente, agli appalti per i lavori sul sito.

È certo che la sicurezza di chi abita gli insediamenti pedemontani deve essere garantita, ma scavalcare le attuali disposizioni legislative crea di fatto un pericoloso precedente, esponendo il nostro patrimonio boschivo a seri rischi per l’avvenire.

Cosa pregiudicherà l’operato degli incendiari se verrà loro garantita la possibilità di guadagnare ciclicamente con la pratica degli incendi boschivi? Chi vigilerà e opererà per lo spegnimento dei roghi ora che la riforma Madia ha di fatto paralizzato il Corpo Forestale? Mentre ne discutiamo c’è chi, come nei casi di terremoto e altre emergenze, ha già iniziato a lucrare.

Ora la priorità è garantire la sicurezza e l’incolumità dei cittadini. Superata la fase dell’emergenza e misurati gli ettari di bosco incendiato, ci attiveremo affinché sia possibile un sollecito rimboschimento anche in deroga alle norme vigenti”. – dichiarava l’assessore regionale Andrea Gerosolimo a solo un giorno dallo scoppio del primo incendio. E di colpo sulle montagne abruzzesi si intravedono ombre di sciacalli.

Incendi in Abruzzo: una questione criminale

Da abruzzesi, mai come quest’anno avevamo assistito ad un simile scempio della nostra cultura, del nostro paesaggio, del nostro patrimonio spirituale e naturale. Quella che da sempre aveva rappresentato per noi un’isola, seppur non ricca, tutto sommato felice nella sua modesta e dignitosa precarietà rischia oggi di finire in pasto a lupi ben più pericolosi di quelli che abitano le montagne che ci circondano.

Nonostante innumerevoli speculazioni sul territorio, discariche abusive di rifiuti pericolosi (Montedison – Bussi Sul Tirino), progetti per la realizzazione di opere impattanti e altre nefandezze, in questa regione abbiamo sempre potuto vantare il valore incontaminato delle nostre montagne, caratterizzate dalla presenza di 3 Parchi Nazionali e numerose aree protette e riserve. I nostri paesaggi sono ciò che ci rappresenta, le nostre montagne l’espressione più vera del nostro carattere. Viviamo con esse un rapporto ascetico di continuo raffronto, talvolta amorevole, altre volte burrascoso, ma sempre diretto e scandito da una profonda onestà.

A chi ha scelto di minare questo rapporto, siano essi criminali esperti o meno, è però necessario inviare un messaggio, e cioè che questa terra non è in vendita.

Contro di loro si alzerà sempre una chiara e fiera voce di dissenso. Qui più che altrove le persone nutrono oggi un rinnovato attaccamento verso la propria eredità storica, paesaggistica e culturale, e nuove generazioni di abruzzesi, come nel caso degli attivisti di AltreMenti Valle Peligna, sono da tempo all’opera per proteggere, riscoprire e valorizzare il loro rapporto col territorio.

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I ragazzi del collettivo AltreMenti Valle Peligna.

Un territorio aspro, provato da numerose difficoltà, alle quali si sceglie di far fronte solo per pura devozione. Il raggiungimento di un tale sentimento è frutto di un percorso che abbiamo intrapreso da tempo e con troppa passione per vedercelo sottrarre da affaristi e speculatori senza scrupoli.

Siamo gente di confine innamorata di territori impervi. Non temiamo le fiamme perché è l’Abruzzo, per primo, a bruciarci nel cuore.

Vivo a Sulmona (AQ), dove sono nato e dove da qualche anno ho deciso di tornare a vivere. Mi occupo di web content e redazione di articoli, saggi e sceneggiature. Dall'autunno del 2013 sono inoltre editor di Gotico Abruzzese, un progetto nato con l'intento di raccontare un Abruzzo onirico e fuori dall'ordinario.