Autore satirico e anarchico convinto: Pino Zac fu tra i vignettisti più prolifici e dissacranti dei suoi anni. Una “matita contro il sistema”, come l’avrebbero poi definito, capace di accaparrarsi le antipatie del Potere da lui ridicolizzato, raccontandone il volto grottesco e violento. 

Un tour in punta di piedi nell’ultima abitazione di Pino Zac a Fontecchio (AQ), per la quale la sindaco Sabrina Ciancone e l’amministrazione comunale da lei rappresentata ha in progetto una riqualificazione finalizzata alla riscoperta e alla memoria di questo incredibile artista.


È un moto primitivo quello che puntualmente mi richiama nella Valle dell’Aterno, tra i piccoli e silenziosi borghi arroccati lungo il corso dell’omonimo fiume. Una lingua di terra stretta e tortuosa, a metà strada dalla città di L’Aquila e la parte più mistica della sua provincia, in termini di genti, paesaggi e tradizioni.

Tra i suoi declivi pronunciati prendono forma insediamenti antichi di chiara impronta medievale, corredati dai ruderi di torri d’avvistamento, manieri fortificati, palazzi nobili. Ne sono esempi i comuni di Beffi, Gagliano Aterno, Acciano, e le più piccole frazioni di Roccapreturo e Goriano Valli. Toponimi come Valle Cupa, Terranera, Santa Maria del Ponte corollano da sempre il mio immaginario di suggestioni dal sapore mistico, e confesso che poche altre esperienze sono prossime a donarmi la sensazione di un magnificat come perdermi tra queste strade, alla ricerca di impressioni e quiete.

Nel tempo, frequentando questi luoghi, ho però scoperto di non essere il solo a cercare rifugio dalla calca tra i serafici scorci di questa vallata e, certamente, neanche il più illustre.

Nel piccolo paese di Fontecchio, per esempio, approdò agli inizi degli anni ’80 una tra le più autorevoli penne del fumetto di satira di quegli anni, celebrato tra l’Italia e la Francia in un continuo alternarsi di polemiche e successi che ne decretarono la fama.

Il suo nome era Giuseppe Zaccaria, noto al mondo come Pino Zac. Siciliano di nascita ma abruzzese d’adozione, Zac fu un protagonista del suo tempo. Un “pratolano transnazionale”, come lo ha definito lo storico Vittorio Monaco in uno splendido saggio dedicato alla figura di questo autore in grado, con la sua matita al vetriolo, di ritrarre il lato grottesco del potere (politico, morale e religioso) attraverso uno stile grafico feroce e dissacrante.

Cesare Zavattini lo ricorda come “il primo disegnatore umorista democratico per vocazione”, un vero elogio per un uomo che fu in realtà sempre un anarchico convinto, nel lavoro come nella vita.

Sul finire di quest’ultima, forse appesantito dalle molte vicissitudini dei suoi trascorsi, Zac scelse di ritagliarsi uno spazio fuori dalle acque turbolente tra le quali era solito navigare. Aiutato da alcuni amici di infanzia, esplorò il circondario di Pratola Peligna, fino a giungere a Fontecchio, dove acquisì un vecchio palazzo nobile di proprietà della famiglia Muzi, designandolo a porto franco per le sue attività intellettuali e private.

pino zac

Varcarne oggi la soglia significa immergersi nell’atmosfera sospesa degli ultimi giorni di Pino Zac, rivestiti dall’aria malinconica di una bella estate pavesiana. Tra le suppellettili e i cimeli impolverati della casa rivivono sensazioni di risa conviviali, e lunghe notti di brezza montana trascorse in attesa del giorno. Nell’intricato susseguirsi di ambienti che costituiscono l’essenza della struttura, è bello perdersi nell’emozione continua di una scoperta inattesa, di una tenda mossa dal vento, di un libro sfogliato e posato sul comodino, così rimasto da allora.

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Arredi d’epoca di pregiata fattura e strambi effetti personali dell’autore si confondono tra loro, in una dimensione che sembra evocare le bizzarre scenografie di pellicole come La Grande Abbuffata, di Marco Ferreri.

fontecchio

Una copia della rivista parigina Le Canard Enchainé, sulla quale negli anni ’60 Zac disegnava “vignette sul Papa che in Italia non erano nemmeno immaginabili”, giace abbandonata a terra, nella stanza della libreria erotica. Una collaborazione, quella con Le Canard, che valse al fumettista l’espulsione dalla Cecoslovacchia per via di alcune strisce satiriche sulla Primavera di Praga, appena prima di un mandato di cattura spiccato dalle autorità francesi per aver messo letteralmente a nudo, in 27 vignette, l’allora presidente Pompidou sul magazine Satirix.

il male

Di nuovo in Italia, Zac torna a guadagnare le antipatie di rappresentanti istituzionali di ogni colore. Ironizza sul clero con la serie a fumetti Kirie & Leison (incentrato sull’eterna lotta tra un diavolo e un prete, allegoricamente ispirata alla narrazione dei Santandonje abruzzesi), sulla Democrazia Cristiana con rumorose vignette sui suoi esponenti (una caricatura di Andreotti con due natiche al posto delle guance gli comportò diverse denunce) e sul PCI di Enrico Berlinguer, impegnato in quegli anni nelle fasi del compromesso storico.

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Pagine di vita disseminate nei polverosi antri dell’abitazione di Fontecchio, tra numeri de Il Male, forse il giornale più famoso da lui diretto, e bozzetti de L’Anamorfico, ultima e non particolarmente fortunata creazione di Zac, sembrano condurre chi le osserva attraverso un romantico spaccato di quegli anni.

Una narrazione che si ferma bruscamente con l’ingresso nell’ultima stanza del palazzo, la camera da letto in cui, il 25 Agosto dell’85, Zac trovò la morte stroncato da un infarto durante un amplesso con una giovane fiamma di allora.

il male

L’idea” – spiega Sabrina Ciancone, sindaco di Fontecchio – “è quella di tramutare questa casa in un grande museo dedicato alla memoria di Zac e del suo lavoro. Una struttura dedicata all’arte e alla cultura, alla libertà di espressione, alla satira come mezzo di informazione politico e sociale.

È in quest’ultima stanza, con il letto disfatto e la finestra aperta sul paese, che si ha la più viva impressione che Zac sia ancora lì, da qualche parte. Forse anche quel giorno, come oggi, una brezza sottile sembrava tagliare la canicola pomeridiana, nel secolare silenzio della Valle dell’Aterno. Un silenzio che in quegli anni era ancora quotidianamente rotto dai 50 rintocchi della torre dell’orologio, a ricordo dell’assedio di Rosso Guelfaglione nel 1647, e che oggi, invece, resta anch’esso poco più di una mera suggestione lontana.

 


Si ringrazia Sabrina Ciancone e l’amministrazione comunale di Fontecchio per la disponibilità e l’autorizzazione alla pubblicazione del materiale contenuto in questo articolo.

Vivo a Sulmona (AQ), dove sono nato e dove da qualche anno ho deciso di tornare a vivere. Mi occupo di web content e redazione di articoli, saggi e sceneggiature. Dall'autunno del 2013 sono inoltre editor di Gotico Abruzzese, un progetto nato con l'intento di raccontare un Abruzzo onirico e fuori dall'ordinario.