«E così passò il tempo della paura, quello dell’orrore, della costernazione, della rabbia e forse per taluni passò anche il tempo del perdono. Di quel lontano Novembre del 1943 agli abitanti di Pietransieri non è rimasto che il ricordo, cicatrice indelebile di un tempo, quello si, impossibile da consegnare all’oblio. A testimonianza di quest’ultimo i muri vetusti e cadenti dei ruderi nel bosco dei Limmari raccontano ancora oggi a chi si avventura alla loro scoperta il carattere ferito di una popolazione che di quanto accadde non seppe interpretarne che la tragedia.»

Seduto sui gradini della piazza guardo la sagoma del sacrario in lontananza e continuo a chiedermi quanto ci vorrà prima che qualcuno del posto venga ad aprirlo.

Pietransieri è completamente celata da una fitta nebbia che sembra avvolgere solo l’area circostante la “Petra”, il grosso macigno al quale la piccola frazione di Roccaraso è addossata e alla quale deve parte del suo toponimo.

A ridosso dell’anno 1000 infatti, il latifondista Ansieri, figlio di Azzone del contado di Valva, scelse l’area circostante la Petra come luogo in cui istituire una roccaforte, il cui nome deriva appunto dall’unione del suo appellativo con quello utilizzato al tempo per descrivere questa località.

Pietransieri

Pietransieri oggi, con la “Petra” alle spalle del campanile. Foto via.

Il paese è deserto e il profondo silenzio che sembra regnare su di esso accompagna me e Massimo, compagno di viaggio di questa nuova gita fuori porta, sin da quando siamo scesi dall’auto. L’unica eccezione è rappresentata dal latrare di un cane lontano e dalla fugace visita di un automezzo del Comune impegnato nell’installazione di luminarie stradali in vista dell’annuale fiaccolata commemorativa delle vittime dell’eccidio.

Il ricordo della strage appare vivo e lampante sin da una prima occhiata al paese, quasi esso rappresenti per certi aspetti una sorta di inguaribile stigmate, che da allora affligge la memoria collettiva. La piazzetta principale è infatti dedicata ai caduti di quelle tragiche giornate, e la strada che conduce al mausoleo ricorda il giorno del tragico epilogo: via 21 Novembre.

piazza dei limmari

La piazza principale del paese, dedicata ai martiri dei Limmari.

Intravedo una sagoma farsi largo nella nebbia, sembra avvicinarsi a noi e in un primo momento spero si tratti di uno di quei personaggi in mantella di lana e lanterna tanto cari ai romanzi londinesi di fine ottocento, salvo poi scoprire, una volta fuori dalla foschia, che si tratta di un’anziana signora del posto, con addosso un normalissimo piumino.

Il sacrario è ancora chiuso, aprirà più tardi” ci avvisa, così decidiamo di impegnare il nostro tempo altrove, tentando di raggiungere il vicino bosco dei Limmari, luogo dell’eccidio situato nell’omonima località alle porte del paese.

Lungo la strada iniziamo però a chiederci se sia stata una buona idea. L’intera zona è occultata dalla nebbia e da quel poco che abbiamo potuto intuire il luogo non è mappato né agevolato dalla presenza di una segnaletica ufficiale. Procediamo lentamente continuando a guardarci attorno. La presenza di un fitto querceto a destra della carreggiata sembra confermare che la località si trovi nelle immediate vicinanze, ma è difficile distinguerne i sentieri tra le diverse strade sterrate che sembrano inoltrarcisi. Chiediamo conferma del tragitto ad un anziano signore che cammina sulla strada. Ci illustra brevemente la via, gesticolando al vento. Capisco poco, così gioco l’ultima carta rimasta:

Non è che ci accompagnerebbe?

Ci pensa un po’ su, è ancora presto, e dopo un attimo di esitazione Massimo gli fa posto sul sedile del passeggero e il nostro duo diventa seduta stante un trio.

È così che conosciamo Fausto.

Fausto.

Fausto.

Se c’è una cosa che ho imparato in anni di viaggi improvvisati è che la provvidenza, al pari della fortuna, aiuta gli audaci, e che in un qualsiasi Gran Tour abruzzese molto spesso questa provvidenza ha le sembianze di un indigeno che ti invita ad entrare in casa condividendo con te esperienze di vita, saggezza popolare e liquori fatti in casa.

Fausto indica la strada, ci inoltriamo in una delle tante mulattiere sterrate e il nostro viaggio prende finalmente l’orientamento desiderato. L’effettivo bosco dei Limmari si palesa finalmente ai nostri occhi, quasi occorresse la rassicurante garanzia di un abitante del luogo per concedersi in tutto il suo fascino.

Le ampie radure che lo caratterizzano furono teatro di una delle tante tragedie innescate dalla macchina bellica a seguito dell’8 Settembre del ’43. Le armate tedesche, sino a quel momento ospiti nel paese in qualità di alleati del PNF, si tramutarono, a seguito dell’armistizio, in occupanti risentiti e sospettosi. La resistenza italiana, sempre più numerosa ed organizzata, dava loro filo da torcere, in special modo in zone montane come questa, dove l’impervia morfologia del territorio fungeva ora da rifugio, ora da trincea per i nuovi determinati guerriglieri della libertà.

Con l’apertura di un varco nel meridione italiano il 10 Luglio del ’43, gli oppositori alla Germania nazista iniziarono a spingere la linea del fronte sempre più in alto raggiungendo in pochi mesi le regioni centrali e costringendo i contingenti tedeschi a rifugiarsi al di là di quella cortina militarizzata conosciuta come Linea Gustav: una barriera che da Minturno, in provincia di Latina, spaccava in due gli Appennini, raggiungendo la città di Ortona (Chieti), sul versante opposto.

La Linea Gustav, in uno schema via.

La Linea Gustav, in uno schema via.

Il blocco, costituito da una trincea posta in sicurezza e costantemente monitorata, rappresentò uno sconvolgimento per le popolazioni stanziate lungo il suo percorso, tra cui, appunto, quella di Pietransieri. La speciale posizione del paese, situato su un versante strategico del fronte, rappresentava il più logico punto debole da attaccare per i generali delle truppe alleate e, di conseguenza, il più critico da difendere per quelle germaniche. A pochi chilometri dal bosco dei Limmari scorre il fiume Sangro, oltre il quale il territorio diviene parte della provincia molisana di Isernia, di competenza di Comuni quali Capracotta, San Pietro Avellana e Castel del Giudice, linee sulle quali inglesi e neozelandesi alle porte del Novembre del ’43 avevano già iniziato a fare pressione.

linea Gustav

La città di Ortona (CH), distrutta dai bombardamenti dell’autunno 1943. Foto via.

Con vessazioni ed intimidazioni continue, tra cui l’incendio di un’abitazione nel quale perse la vita un’anziana signora paraplegica impossibilitata per questo a fuggire, i nazisti tentarono per settimane di persuadere la popolazione inerme ad abbandonare le loro case.

Il paese fu minato e fatto brillare, le campagne circostanti disseminate di ordigni al fine di mettere in sicurezza l’area da possibili ed eventuali invasioni provenienti dal versante sud. Parte degli abitanti furono rastrellati e condotti con la forza nella vicina Sulmona, dove i tedeschi li abbandonarono con l’ordine di non far ritorno a casa. Chi riuscì a sottrarsi ai rastrellamenti si nascose nel bosco, in alcuni casolari contadini fino a quel momento utilizzati per attività agricole e pastorali. Accecati dalla continua avanzata nemica e dalla strenua resistenza della popolazione autoctona, restia ad abbandonare i pochi averi guadagnati in anni di fatica, i reggimenti tedeschi occupanti optarono per una soluzione estrema: dapprima decimando in sordina chiunque fosse stato scoperto a transitare nei luoghi interdetti ai civili e poi, la mattina del 21 Novembre, con l’attuazione di una vera e propria operazione di sterminio selettivo, che decretò in un paio d’ore la morte di oltre cento persone, tra cui molti bambini.

Il Bosco dei Limmari, luogo dell'eccidio.

Il Bosco dei Limmari, teatro dell’eccidio.

La prima masseria visitata dagli aguzzini fu Casale D’Aloisio, appartenente alla famiglia di Fausto e nel quale lui stesso era nato tre anni prima della vicenda. Tra gli altri, persero la vita sotto le mitragliate e le granate tedesche i suoi nonni, un cugino e una cugina, quest’ultima di appena cinque anni.

Casale d'Aloisio.

Casale d’Aloisio.

Questo, come gli altri casolari sparsi nelle vicinanze, è caratterizzato dalla presenza di una lapide, sulla quale è riportato il nome della masseria in questione e il numero di vittime cadute sul posto.

Fausto ci illustra brevemente le dinamiche della strage così come lui stesso ammette di ricordare e come, più probabilmente, gli sono state narrate da sua madre, oggi novantenne.

seconda-guerra-mondiale

Targa commemorativa dei martiri dei Limmari. Casale d’Aloisio.

Proseguiamo il cammino attraverso ampie praterie abbandonate, dove dalla nebbia iniziano a spuntare i ruderi delle altre masserie interessate dall’eccidio.

Casolare Di Battista, Casolare Clemente d’Amico, Casolare Macerelli: tutte le strutture recano ancora i nomi delle famiglie d’appartenenza e le stesse lapidi commemorative in pietra del primo casale, poste a poca distanza e circoscritte da un semplice e rigoroso recinto in ferro.

vittime di guerra

Una delle lapidi che commemorano l’eccidio.

Tra una conversazione e l’altra mi fermo a rimirare il paesaggio circostante. Il freddo e la nebbia lo rendono feroce in questa tarda mattina d’autunno, ma al tempo stesso carico di quel particolare incanto tipico della natura selvaggia. È impossibile non avvertirne il silenzio, quello stesso silenzio rotto dalle grida disperate e dalle secche raffiche di mitra una mattina di Novembre di tanti anni fa.

Casale Macerelli. Il commando nazista trucidò senza pietà in questo punto circa 30 persone.

Casale Macerelli. Il commando nazista trucidò senza pietà in questo punto circa 30 persone.

Le testimonianze e gli sviluppi di quella triste giornata sono stati celebrati in un interessante documentario dal titolo “Il sangue dei Limmari”, edito dall’associazione TerritoriLink per la regia di Fabrizio Franceschelli e Anna Cavasinni. Oltre ad una dettagliata ricostruzione storica dei fatti, l’opera contiene interviste originali a testimoni e sopravvissuti dell’eccidio, come quella a Virginia Macerelli, all’epoca di appena sette anni, che ferita scampò alla furia omicida dei camerati tedeschi nascondendosi per due giorni sotto il corpo senza vita di sua madre.

il sangue dei Limmari

Una scena de “Il sangue dei Limmari”, di Fabrizio Franceschelli e Anna Cavasinni. Immagine via.

Storie simili sopravvivono ancora nelle parole di chi, come Fausto e tanti altri del paese, subì al tempo una o più perdite, e di quanti vivono oggi questa brulla zona montana con tacita riverenza e rispetto.

Fausto nel bosco dei Limmari.

Fausto nel bosco dei Limmari.

Tornati in paese salutiamo Fausto, ringraziandolo per la disponibilità concessaci e, prima di congedarci, ci rechiamo di nuovo al sacrario, finalmente aperto al pubblico, per una breve visita.

I nomi dei martiri dei Limmari sono tutti lì, iscritti sulle lapidi che contengono oggi ciò che si poté recuperare delle loro spoglie.

I martiri dei Limmari, nel sacrario a loro dedicato.

I martiri dei Limmari, nel sacrario a loro dedicato.

Resto solo per un attimo a scattare qualche foto, ed è di nuovo il silenzio ad investire i miei pensieri, lo stesso che ci accompagna da quando siamo arrivati qui e che forse solo ora mi sembra di riuscire ad interpretare.

Quella del silenzio è una peculiarità spesso evidenziata da chi tesse le lodi dei borghi montani abruzzesi, e che sembra oggi aver acquisito un rinnovato valore nella società contemporanea, tanto ambita ne è la riscoperta.

Il silenzio sinonimo di introspezione, di profondità, di riflessione non è in realtà che uno specchio delle nostre percezioni, in grado di amplificare il nostro stato d’animo, ora propenso alla più totale armonia, ora ad un senso d’inquietudine dettato dal nostro subconscio.

mausoleo dei Limmari

Il sacrario dei Limmari.

Il silenzio di Pietransieri non è quello tipico dei quieti borghi montani abruzzesi, rare oasi di pace fuori dai ritmi frenetici della civiltà, ma quello delle istituzioni che mai individuarono i reali colpevoli di quella tragedia, occultando per oltre cinquant’anni i fascicoli relativi a questa vicenda in quello strano e segreto archivio riesumato solo nel ’94, e che da allora prende il nome di “armadio della vergogna”. È quello di una popolazione ferita, abituata per cultura ad affrontare i propri i drammi con orgogliosa rassegnazione, e che solo negli ultimi anni ha iniziato a riaccendere i riflettori su questa vicenda. È quello delle vittime dei Limmari coperte dalla neve dopo l’eccidio fino al disgelo della primavera successiva, martiri agli antipodi del Mondo occidentale, che mai desiderarono la Guerra, ma se la ritrovarono in casa.

Quello del bosco dei Limmari è un silenzio spesso quanto la nebbia che scende tra le sue vallate nei più freddi giorni d’autunno. Un silenzio ormai antico, che da oltre settant’anni racconta questa storia a chi, tra i suoi sentieri, è disposto ad ascoltarla.

Vivo a Sulmona (AQ), dove sono nato e dove da qualche anno ho deciso di tornare a vivere. Mi occupo di web content e redazione di articoli, saggi e sceneggiature. Dall'autunno del 2013 sono inoltre editor di Gotico Abruzzese, un progetto nato con l'intento di raccontare un Abruzzo onirico e fuori dall'ordinario.