Di Antonio Secondo.

In Come te nessuno mai c’è una scena in cui Silvio Muccino dopo aver preso un 2 di picche dalla tipa strappona a cui faceva la corte (fidanzata di un suo amico per altro) si rende conto che può felicemente ripiegare sull’amica bruttarella di lei e attraversa Roma di corsa per andarsi a dichiarare. Ora, per quanto già a 12 anni soffrissi terribilmente la presenza di Muccino sullo schermo, avevo registrato quel film in videocassetta per due motivi. Il primo era per via della scena iniziale in cui Silvio e il suo amico più sfigato di lui spiegano come vestire secondo i dettami punk. Stavo iniziando ad accostarmi a quella controcultura, non avevo internet in casa e vedere un punk sullo schermo era un’occasione più unica che rara. In seguito scoprii che nella realtà i punk non prediligono le creste così larghe né i pantaloni in denim, come la costumista del film aveva voluto farmi credere. Il secondo motivo era perché adoravo la scena in cui il tipo fascistello che voleva imboccare nel liceo occupato tira una catenata in faccia al tipo brufoloso.

come te nessuno mai

Silvio Muccino e il suo amico sfigato nella scena dei punk

Avrò visto quel film una decina di volte prima di scoprire Trainspotting e capire finalmente la differenza tra un buon film e uno che fa cagare, ma tutte le volte che lo guardavo la scena in cui Muccino corre proprio non mi andava giù.

Va bene, era esasperato dal mistero sessuale e deciso a farsi la sua prima giacchetta per poterlo raccontare agli amici, ma perché correre in quel modo? Avrebbe potuto tranquillamente prendere la metro, mettere su Freestyler dei Bomfunk MC’s sul lettore CD portatile e arrivare a destinazione senza necessariamente affrontare una maratona. Anzi, ora che ci penso aveva addirittura la vespetta. Ogni volta che lo vedevo correre ripensavo al racconto di mia nonna, quello su come lei e mio nonno si erano fidanzati.

matrimonio abruzzese

I miei nonni nella foto del loro matrimonio

In questa foto che li ritrae insieme qualche tempo dopo il loro matrimonio è descritta perfettamente l’etichetta di quei tempi. Mio nonno è seduto e sta leggendo il giornale (in realtà era un catalogo di bare, mia nonna ancora oggi ride di quanto imprecasse perché non ci fosse un altro finto giornale disponibile nello studio del fotografo). Mia nonna invece è in piedi dietro il marito e sembra quasi spiare le notizie del giornale sporgendosi oltre le spalle di lui. In famiglia la consideriamo come la foto del loro matrimonio, nonostante siano vestiti con abiti non proprio quotidiani ma quasi, perché il fotografo il giorno delle nozze non era potuto essere presente.

Mia nonna è nata in un paesino a 800 metri sul livello del mare, aveva 4 sorelle ed era responsabile della stalla di famiglia. Mio nonno invece viveva a 35 km di distanza, uno dei suoi fratelli era stato ucciso da un partigiano durante la guerra e possedeva un solo mezzo di locomozione: la bicicletta. Stiamo parlando del primo dopoguerra, le biciclette di allora erano costituite da un pesante telaio in ferro e non avevano marce. Farsi un culo così per arrivare a destinazione non era roba da hipster con le fixed, ma pura e semplice necessità. Capitò allora che mio nonno dovesse accompagnare un suo amico in quel paese lontano e per caso notò mia nonna che si dirigeva alle stalle. Non le aveva mai parlato, forse non sapeva neanche come si chiamasse, ma si innamorò di lei. Così, semplicemente guardandola.

Da quel giorno, visto che non aveva la vespetta, mio nonno iniziò a percorrere quei 70 km in bici con cadenza regolare, affrontando una strada che nelle zone d’ombra ghiaccia perfino in primavera, e una volta arrivato non poteva neanche prendere mia nonna e portarsela su un attico panoramico per concedersi qualche ora d’amore con lei come i protagonisti del film. Anzi, non poteva neanche parlarle visto che la mia bisnonna aveva notato l’attenzione di quel ragazzo per sua figlia e non le permetteva quasi più di uscire, se non accompagnata da una delle sue sorelle. Stufo di farsi 70 km a vuoto, e con dei polpacci degni di un olimpionico, mio nonno decise allora di andare dal capo famiglia per chiedere di potersi fidanzare con la seconda delle sue figlie. La mia bisnonna era contraria a quell’unione, desiderava un genero che fosse qualcosa in più di un semplice maniscalco, lavoro in cui mio nonno era specializzato. Dovette però cedere all’insistenza di mia nonna, che nel frattempo aveva iniziato a provare qualcosa per quel ragazzo tanto determinato. Non potevano tuttavia lasciarli semplicemente incontrare. Era consuetudine a quel tempo, in quello specifico paese, che l’uomo interessato alla mano di una ragazza lasciasse di sera un grosso pezzo di legno (in dialetto locale “tìcchio”) fuori dalla porta dell’abitazione di lei. Se il mattino successivo il ceppo fosse stato introdotto in casa significava che il fidanzamento era stato accettato. Qualcosa di simile avveniva durante i riti del Calendimaggio, periodo dell’anno a ridosso dell’equinozio di primavera in cui veniva celebrata la rinascita e la riapertura del lavoro nei campi. Nei primi giorni di Maggio si poteva apporre un ramo fiorito di maggiociondolo alla porta dell’abitazione della propria amata. Se questa avesse esposto il rametto fuori della sua finestra il mattino successivo, il sentimento sarebbe stato corrisposto. Anche se ancora piuttosto riluttante, il mio bisnonno tirò in casa il tìcchio, e mia nonna espose il suo rametto fiorito.

Maggiociondolo

Maggiociondolo fiorito

Ora lui poteva andare a trovarla e parlare con lei, anche se solo in specifici orari e sempre sotto la supervisione di un famigliare. Questa manfrinapassatemi il termine, sarebbe durata finché i due avessero deciso di sposarsi, e quindi di andare a convivere, potendo così godere di un po’ d’intimità. E’ comprensibile quindi che in quell’epoca i matrimoni avvenissero precocemente: chi non avrebbe voluto uscire da quella situazione il più presto possibile? Dopo un pranzo nuziale preparato in casa e un viaggio di nozze costituito da un giro in bicicletta per le montagne abruzzesi, i due poterono finalmente dedicarsi alla propria intimità.

foto d'epoca abruzzo

Matrimonio celebrato nello stesso paese di mia nonna

Non dimentichiamo che lo sdoganamento del sesso e dei costumi ad esso legati è avvenuto solo in epoche molto vicine a noi e che, nonostante tutto, continuiamo ancora oggi a viverlo con una certa ipocrisia. La prima notte di nozze era quindi un momento particolarmente sentito per la vita di quel tempo e ogni villaggio aveva le sue usanze in merito. I culti legati alla sessualità della coppia erano molto sentiti nelle tradizioni contadine, nel paese di mia nonna ad esempio le madri degli sposi provvedevano a preparare il letto che avrebbe ospitato il primo amplesso dei loro figli (non serve di certo specificare che i rapporti prematrimoniali non erano consentiti). Il corredo impiegato doveva essere donato dalla madre di lei e necessariamente di colore bianco. Questo perché la mattina successiva si sarebbe dovuto esporre macchiato di sangue fuori dall’abitazione per provare alla comunità la purezza della giovane sposa. Mia nonna racconta ancora oggi questo particolare con una certa disinvoltura, la stessa con cui si prodiga nelle spiegazione del perché si usasse apporre una falce o un paio di forbici sotto il letto degli sposi, al fine di garantirne una maggiore protezione contro malocchio, invidie o possibili oppositori al legame della coppia.

Finalmente liberi dalle congiure sessuali e dalle attenzioni delle rispettive famiglie i miei nonni copulavano liberamente e preparavano il cammino al passo successivo con la metodica abnegazione che contraddistingue la società di quel periodo. In Abruzzo, come in tutto il meridione italiano, l’isteria provocata dall’impossibilità di avere bambini fu fonte di numerose rituali entrati col tempo a pieno ciclo nel calendario agricolo e negli eventi ad esso associati, prima di scomparire definitivamente. Tra i vari riti per favorire la fertilità vi era per esempio l’abitudine per le coppie dormire a terra in chiesa o in altri luoghi sacri in specifici giorni dell’anno (di solito durante le feste patronali), in modo da assicurarsi la benedizione dei santi grazie al voto di penitenza. In alcune zone dell’Abruzzo montano era in uso tra le donne sedere con la pelle a contatto con erba bagnata di rugiada nei giorni vicini al solstizio d’estate e alla notte di San Giovanni. La rugiada era allora considerata un elemento magico ed utilissimo nel favorire la fertilità. E’ interessante notare come diversi libri sugli usi e i costumi abruzzesi riportino questa pratica come mero espediente per allegre camporelle da parte di giovani innamorati. Ci si poteva altrimenti rivolgere a fattucchiere o maghi che con i loro riti potevano dimostrare presenze di risentimenti, asti, invidie e togliere malocchi e fatture con formule o intrugli.

In altri luoghi del meridione italiano invece i riti legati al rapporto di coppia, alla fertilità e all’amore prevedevano l’impiego di crudi elementi corporali.  In Lucania ad esempio, la donna che desiderava sottrarre l’uomo amato ad una rivale poteva raccogliere del sangue catameniale da mischiare con un ciuffo di peli pubici o dell’ascella. L’intruglio veniva seccato in forno e ridotto in polvere e il prodotto raccolto in un’ampolla doveva essere poi portato in chiesa durante una funzione e successivamente disciolto in acqua da far bere o venire in contatto con l’uomo desiderato.

Sud e Magia, Ernesto de Martino (1959)

Sud e Magia, Ernesto de Martino (1959)

Ciò che è certo quindi è che per l’epoca legarsi in un rapporto sentimentale era considerato un vero e proprio patto di sangue. Divorzi, relazioni extraconiugali e infrazioni del decimo comandamento erano comunque all’ordine del giorno ma vissuti all’ombra di una forte ipocrisia religiosa, ben radicata nelle coscienze di tutti. Eppure la storia d’amore dei miei nonni è sempre stata per me una sorta di emblema di quella generazione. La sicurezza dimostrata nel trovarsi, la costanza con cui hanno continuato ad amarsi per tutta una vita e la devozione perpetrata da mia nonna dopo la prematura scomparsa del marito potrebbero trarre in inganno, lasciando credere ai più scettici che si trattasse di semplice abitudine o imposizione. Già, “potrebbe”, perché poi la accompagni al cimitero a far visita al marito, la osservi mentre studia silenziosa quella tomba e le chiedi a cosa pensa.

Mi manca tuo nonno” – risponde – “nonostante siano passati tanti anni

E intanto Muccino ancora corre, e con lui tutta la mia generazione. Ma stavolta in direzione opposta.

Vivo a Sulmona (AQ), dove sono nato e dove da qualche anno ho deciso di tornare a vivere. Mi occupo di web content e redazione di articoli, saggi e sceneggiature. Dall'autunno del 2013 sono inoltre editor di Gotico Abruzzese, un progetto nato con l'intento di raccontare un Abruzzo onirico e fuori dall'ordinario.