Il Voto, di Francesco Paolo Michetti (1881- '83)

Il Voto, di Francesco Paolo Michetti (1881- ’83)

di Danilo Borri.

«L’impressione fu a Miglianico, alla festa di San Pantaleone, nella calura soffocante dell’estate, dentro la chiesa, tra il lezzo bestiale che esalava da quei mucchi di corpi umani accalcati nella mezza ombra. Era una greggia, una mandra enorme d’uomini, di femmine, di fanciulli, entrata a forza, per vedere il santo, per pregare il gran santo d’argento, per assistere al martirio dei devoti. […] E là, in mezzo ad un solco umano, fra pareti umane, tre quattro cinque forsennati s’avanzavano strisciando, con il ventre per terra, con la lingua su la polvere dei mattoni, con le punte dei piedi rigide a sostenere il corpo. Si avanzavano così, come rettili. Una superstizione cupa li acciecava.»

Le suggestive parole di Gabriele D’Annunzio – apparse sul “Fanfulla della Domenica” del 14 gennaio 1883, quando il Vate si cimentava nei panni di critico d’arte – costituiscono la trasposizione letteraria, e letterale, de Il Voto, ovvero una delle opere più conosciute del pittore abruzzese Francesco Paolo Michetti, eseguita tra il 1881 e il 1883 e oggi conservata nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna (GNAM) di Roma.

Michetti, nel suo studio, mentre ritrae Gabriele D’Annuzio

Sin dalla sua presentazione all’Esposizione Romana di Belle Arti, il dipinto fu salutato come una novità nel panorama artistico dell’epoca, dominato da un’arte stantia volta principalmente alla celebrazione degli ideali patriottici e post-risorgimentali. E, come accade di frequente a tutto ciò che è innovativo, Il Voto trovò detrattori e sostenitori: diversi artisti e critici d’arte rimproveravano a Michetti l’esecuzione pittorica “approssimativa” (che non vuol dire incapacità nel dipingere, bensì una precisa scelta stilistica di non rifinire calligraficamente i dettagli della composizione), mentre l’opera suscitò il plauso di D’Annunzio in primis, e di altri artisti come Giulio Aristide Sartorio, tra i protagonisti dell’arte italiana a cavallo dei due secoli.

Ma qual è il soggetto rappresentato in questo enorme dipinto?

Come racconta D’Annunzio stesso, assistiamo all’acme della festa di S. Pantaleone nel piccolo paese di Miglianico (Chieti), quando alcuni fedeli, in chiesa per adempiere un voto, strisciano verso il busto-reliquiario del santo con la lingua sul pavimento, sullo sfondo dei canti, delle preghiere, degli incensi.

Il Voto, Francesco Paolo Michetti (1981 – ’83) – Particolare

Questa “approssimazione” d’esecuzione non risponde solamente ad un “modus operandi” stilistico, ma consente anche di essere investiti dal pathos che emana la scena: l’occhio dello spettatore non è impegnato tanto nell’osservazione minuta dei singoli dettagli, quanto nella contemplazione della scena nella sua totalità, favorendo così l’immedesimazione in essa; noi diventiamo parte del dipinto stesso, spettatori di un evento che ha il fascino e la magia degli antichi riti ancestrali.

L’accusa di imperizia che alcuni detrattori muovevano a Michetti appare ancora più infondata se si considera che la gestazione dell’opera, dall’idea prima all’esecuzione del dipinto vero e proprio, fu lunga ed elaborata: il pittore aveva  studiato ripetutamente il soggetto con un’approfondita ricerca documentaria e recandosi sul posto con l’ausilio tecnico della macchina fotografica; inoltre, a testimonianza del lungo iter creativo, nelle collezioni della GNAM ci sono ben 12 pastelli misti a tempera nei quali Michetti studiò l’evolversi della composizione.

d'annunzio

Milano, 30 Marzo 1096; da sinistra: Franchetti, D’Annunzio, Puccini, Tosti, Michetti, Barbella e Ricordi la mattina dopo la rappresentazione de “La figlia di Iorio” nella capitale meneghina

Il Voto di Michetti si colloca in quel filone della corrente verista (che in letteratura era rappresentata, tra gli altri, da Verga) che poneva sotto la lente d’ingrandimento anche gli strati più bassi della società dell’epoca, evidenziando lo stato di arretratezza culturale nel quale versavano i piccoli centri di provincia dove il tempo si era fermato e dove la vita della comunità era scandita e segnata da ritualità arcaiche e dai ritmi della vita agropastorale. L’intento di queste opere era, quindi, non solo trasmettere il fascino di cui queste ricorrenze religiose e folkloristiche erano indubbiamente pervase, ma anche fare una sorta di denuncia sociale, come pure facevano altri grandi rappresentanti dell’arte abruzzese di fine ‘800 quali Teofilo Patini e Basilio Cascella. Di quest’ultimo, un’opera come Il Santuario di Casalbordino (1896) può essere accostata per soggetto e tipologia al quadro michettiano: anche Cascella ritrae una scena corale drammatica e patetica di fede e superstizione popolare, ove i fedeli si accalcano verso la cancellata del santuario implorando la grazia della Madonna della Misericordia.

Cascella Casalbordino

Il Santuario di Casalbordino, Basilio Cascella (1896)

In Cascella, così come in Michetti e il suo dipinto oggetto di quest’analisi, assistiamo allo spettacolo di una folla abbrutita dalla superstizione e dall’ignoranza. Eppure, non siamo in grado (dopotutto, perché dovremmo volerlo?) di guardare con disprezzo a quest’umanità dalla quale discendiamo e che fa parte della nostra eredità culturale; un’umanità la cui purezza, genuinità e forza – in questo caso, tutta abruzzese – è simboleggiata dal neonato sulla sinistra della composizione che scalcia allegramente sulle gambe della sua altrettanto esaltata giovane madre.

A mio avviso, il merito di quest’opera è quella di restituire il volto più autentico dell’Abruzzo di quei tempi, un volto arcaico che ha ceduto il passo all’inevitabile progredire dell’era moderna. Un Abruzzo a cui si dovrebbe tuttora guardare non con un ripiegamento nostalgico e passatista fine a sé stesso, ma con spirito conservativo di una cultura che, in fin dei conti, è ancora lì e che, in questa regione, si può riscoprire semplicemente allontanandosi dai moderni centri cittadini alla volta di quei “limbi temporali” dell’entroterra montano.


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Vivo a Sulmona (AQ), dove sono nato e dove da qualche anno ho deciso di tornare a vivere. Mi occupo di web content e redazione di articoli, saggi e sceneggiature. Dall'autunno del 2013 sono inoltre editor di Gotico Abruzzese, un progetto nato con l'intento di raccontare un Abruzzo onirico e fuori dall'ordinario.