Di Antonio Secondo.

L’Aquila – Antiche lastre fotografiche in ferrania all’albumina e bromuro d’argento realizzate verosimilmente nella prima metà del ‘900 tornano alla luce per raccontare una storia, o parte di essa. La storia è quella dei degenti del sanatorio aquilano di Santa Maria di Collemaggio, “l’ospedale dei pazzi”, che dalla sua costruzione fino alla chiusura definitiva, avvenuta alla fine degli anni ’70 in fede alla legge Basaglia ha ospitato, o per meglio dire rinchiuso, tra le sue mura un incalcolabile numero di pazienti bollati come socialmente pericolosi.

manicomio di collemaggio

Immagine via – Collezione privata Stefano Mazzetta

La riscoperta è avvenuta per opera di un privato, l’aquilano Stefano Mazzetta, titolare di una nota osteria cittadina, che nei primi anni del 2000 durante alcuni lavori di restauro nello stabile che una volta ospitava il canile della struttura ospedaliera rinvenne uno scatolone abbandonato contenente le lastre e gli scatti originali. Per motivi non ancora noti il signor Stefano ha deciso di rendere noti quegli scatti solo oggi, a distanza di una quindicina d’anni, mediante una mostra che verrà inaugurata alle 17:00 del prossimo 29 Ottobre a L’Aquila, nella storica Libreria Colacchi.

La decina di scatti rinvenuti ritraggono anonimi pazienti del sanatorio aquilano, il che potrebbe in un primo momento far pensare ad una prassi archivistica da parte degli addetti ai lavori della struttura, se non fosse che in alcuni di essi sono raffigurati pazienti completamente nudi e dagli sguardi sofferenti, in pose innaturali e scomode, ritratti che non trovano collocazione tra le umane ipotesi di semplici scatti realizzati con fini scientifici o di lavoro.

collemaggio

Immagine via – Collezione privata Stefano Mazzetta

Allora perché sono stati realizzati? I motivi restano ignoti e questo mistero contribuisce oggi a rendere ancor più inquietanti i tratti di quegli scatti e ancor più marcato il contrasto di luci ed ombre che li caratterizza.

Sin dalla data della sua fondazione Collemaggio ha rappresentato da sempre lo spauracchio di un’intera regione. Come nella quasi totalità delle strutture psichiatriche presenti sul territorio nazionale i degenti al suo interno non sembra venissero curati, o guidati lungo un percorso finalizzato ad un futuro reinserimento nella società civile, quanto più sedati o percossi, soffocati nel dolore e nell’indifferenza di una società che preferiva ignorarli più che farsene carico.

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Nella video testimonianza di un non meglio identificato ex operatore della struttura si parla di trattamenti a base di elettroshock e massicci impieghi di farmaci sedativi utilizzati come misure contrastanti all’irrequietezza dei degenti, di uomini e donne finite nella struttura a seguito di un ricovero coatto (l’odierno TSO) o solo per una visita specializzata che potesse stabilirne la pericolosità sociale e morti all’interno di essa senza che alcuna visita ufficiale fosse mai stata registrata o realizzata. Si parla di cittadini che si lamentavano per il fastidio provocato dalle “urla che vengono da dentro“, bieco disappunto che ricorda un po’ i fasti, certamente peggiori, dei tranquilli abitanti di Oranienburg, urbe alle porte di Berlino, che durante il secondo conflitto mondiale esprimevano, forse ingenuamente, ai vertici delle SS il proprio disgusto verso l’insopportabile fetore che veniva fuori dalle ciminiere del vicino campo di concentramento di Sachsenhausen.

Come i deportati nei campi di lavoro tedeschi, anche nei manicomi italiani i pazienti andavano a morire, spesso tra atroci sofferenze. Ma se per i primi i motivi erano perlopiù caratterizzati da fini politici, economici e di interesse, per i secondi si trattava solo ed esclusivamente di ignavia, repulsione, impossibilità di gestire un problema che solo fino a qualche anno fa restava un mistero, una piaga sociale da contrastare esclusivamente con l’impiego della violenza.

Dopo la chiusura molto del materiale d’archivio, dei rapporti e delle cartelle relative ai degenti della struttura psichiatrica di Collemaggio scomparve, forse volutamente, forse per semplice inettitudine, e le scomode storie racchiuse in quei fascicoli furono presto dimenticate. Oggi all’interno della struttura vivono e lavorano diverse realtà sociali, tra cui quella del comitato 3e32 e degli occupanti del centro sociale Casematte, che dall’Aprile del 2009 hanno iniziato a proporre attività di natura ludica e politica, incentrando parte del loro discorso anche sul dibattito psichiatrico, in virtù del sito che li ospita.

urbex abruzzo

O.P. di Collemaggio, oggi. © Valerio F. Urbex

Nonostante le “urla di dentro” siano ormai scomparse da Collemaggio, fatta eccezione per quelle di gioia o di qualche ragazzo un po’ alticcio durante le iniziative di Casematte, quella dei pazienti dell’ex ospedale psichiatrico resta una storia che non è ammissibile dimenticare in quanto i suoi fantasmi ancora gridano giustizia all’interno di vecchi scatoloni abbandonati, e se ieri questa giustizia è stata loro negata sarebbe il caso di rendergliela oggi.

 

 

Vivo a Sulmona (AQ), dove sono nato e dove da qualche anno ho deciso di tornare a vivere. Mi occupo di web content e redazione di articoli, saggi e sceneggiature. Dall'autunno del 2013 sono inoltre editor di Gotico Abruzzese, un progetto nato con l'intento di raccontare un Abruzzo onirico e fuori dall'ordinario.