Ho scoperto il fotografo chietino Giancarlo Malandra grazie a questo scatto a mio avviso emblematico della regione Abruzzo in cui è ritratto un dettaglio dell’ormai celebre festa dei serpari di Cocullo. La foto mi ha colpito immediatamente per due motivi. Il primo risiede nell’aver riscontrato quel perfetto connubio tra semplicità e spessore a cui ogni arte visiva ambisce, qui perfettamente rappresentato, e nel fatto che, peccando forse forse di cinismo, non credevo fosse possibile dopo tanti anni raccontare ancora in maniera così profonda questo rito scandagliato da fotografi di ogni dove in ogni suo più intimo anfratto. E, a dirla tutta, non credo sia un caso se a riuscirci sia stato proprio un abruzzese, ma questa è un’altra storia.

Il secondo motivo risiede nella perfetta composizione dell’immagine, ritratto crudo e sincero di un popolo che, come si suol dire, “porta in petto” la propria storia e le proprie tradizioni, la propria identità. Un riassunto tanto intenso  non poteva quindi lasciarmi indifferente, così ho iniziato a cercare altri scatti di Giancarlo per sapere di più sui suoi lavori, scoprendo che molti di essi erano stati premiati in concorsi italiani e non o pubblicati su importanti riviste quali Internazionale. Ho voluto quindi approfondire la mia curiosità inviandogli una breve intervista alla quale si è gentilmente offerto di rispondere.

. Ciao Giancarlo, innanzitutto complimenti per il tuo lavoro. Mi piacciono moltissimo i tuoi scatti e il fatto che molti tuoi reportage ritraggano la nostra regione. Come mai hai scelto più volte di dedicarti ad essa?
Ciao Antonio, grazie per i complimenti e per il tuo invito. Devo ammettere che quando ho iniziato a interessarmi alla fotografia e a guardare i reportage di grandi fotografi da ogni parte del mondo, pensavo che in Abruzzo non ci fosse nulla d’interessante da raccontare. Ho iniziato così, in maniera del tutto inconsapevole (non conoscendo ancora l’autore), quelli che Luigi Ghirri chiamava i “viaggi domenicali minimi”, spostamenti di pochi chilometri alla ricerca di soggetti da fotografare.

C’è voluto del tempo, ma con questo sguardo rinnovato l’Abruzzo, cui sono legato da un forte senso di appartenenza, si è finalmente svelato ai miei occhi con tantissime storie da raccontare e continua ancora a stupirmi.

Chieti Venerdì Santo

Venerdì Santo di Chieti © Giancarlo Malandra

. L’Aquila post sisma è un soggetto molto sfruttato da fotografi di ogni dove in quanto è uno scenario che si presta naturalmente al raccontare storie, in special modo storie fotografiche, ma nel tuo reportage “La città negata” hai voluto donare al tuo lavoro il tema della negazione, della chiusura, dell’immobilismo. Non a caso uno degli scatti più rappresentativi del reportage a mio avviso è quello che ritrae la città cinta da una recinzione di metallo. Come hai lavorato su questo soggetto e cosa in particolare ti premeva comunicare?
La città negata” nasce come progetto per il concorso fotografico “Leica Talent 24×36”, dove dopo una durissima selezione (da 42500 partecipanti ne sono stati scelti 24) i finalisti hanno avuto l’incarico di realizzare un lavoro fotografico composto da 36 immagini. Era il 2011 ed era ancora forte il senso di sgomento e il dolore per il sisma aquilano e pertanto la scelta è stata naturale. Avevo già fotografato le conseguenze del terremoto con un collettivo di fotografi nel 2009, ma ci eravamo concentrati solo sui segni tangibili che il sisma aveva lasciato nei paesi del cratere.

Per “La città negata” avevo bisogno di raccontare qualcosa di diverso dalle iper-fotografate case sventrate, macerie accumulate e zone rosse. Ho voluto guardare oltre, sono stato per tre mesi almeno due volte a settimana nella zona del sisma per cercare di trasmettere il senso di smarrimento, la solitudine e la sensazione che per gli abitanti de L’Aquila forse nulla sarà più come prima il 6 aprile 2009.
La foto che mi segnali è fortemente simbolica: una città chiusa ai suoi abitanti, imprigionata in tonnellate di tubi di metallo, di cavi di acciaio, di travi di legno, che per anni ha avuto l’esercito a presidio del centro storico. Una sorta di prigione al contrario, dove non è possibile entrare.

Sisma L'Aquila

“La città negata” © Giancarlo Malandra 2011

. Un altro scatto molto particolare è quello che ritrae alcuni ragazzi in attesa, mi è piaciuto molto in quanto sembra descrivere bene l’apatia di una città che non esiste, quella dei nuovi quartieri dormitorio costruiti negli anni successivi al 2009 e che hanno fatto molto parlare di sé in quanto sembrano isolare le persone in uno scenario asettico e privo di stimoli. Vuoi parlarci di questo scatto? Hai qualche ricordo in particolare legato ad esso?
Hai già descritto in maniera perfetta l’idea alla base della foto. Mi ha molto colpito l’assenza di attività umane all’interno di questi nuovi quartieri. Non c’era nulla, un negozio, un bar, un’edicola, niente! Solo alla fermata degli autobus trovavi qualcuno in attesa.

Mi ricordo che quei ragazzi stavano aspettando un loro amico con l’automobile per andare insieme al Centro Commerciale “a fare qualcosa”. I centri commerciali sono diventati i nuovi centri di aggregazione, questa l’amara realtà.

Terremoto L'Aquila

“La città negata” © Giancarlo Malandra 2011

. Parliamo di un altro reportage: “Pescara, metamorfosi di una città”. Anche qui hai scelto di dedicarti ad un tema specifico, molto forte, simile ma allo stesso tempo completamente differente dal precedente: la rinascita di una città. Questa volta naturalmente la città in questione non rinasce dalla proprie macerie, ma muta in quello che potremmo definire quasi un “lifting”, un rinnovamento dettato dal moderno, dal progresso. Parlaci di questo lavoro.
Anche in questa domanda hai introdotto in maniera perfetta l’idea alla base del reportage!
Il lavoro su Pescara mi è stato commissionato da Canon Italia nel 2012 per promuovere la nuova fotocamera mirrorless EOS M.

Pescara è stata sin dalla sua fondazione l’avamposto della modernità che si è fatta strada nell’Abruzzo ancestrale, è tutto ciò che l’Abruzzo non è mai stato e che aspira ad essere, una città protesa verso il futuro. Se pensiamo a Teramo, Chieti e L’Aquila, nessuna ha avuto uno sviluppo urbanistico così tumultuoso come Pescara. Così come L’Aquila è imprigionata e immobile, così Pescara al contrario è totalmente aperta con i suoi rapidissimi cambiamenti nel paesaggio urbano.

Pescara

“Pescara, metamorfosi di una città” © Giancarlo Malandra 2012

. L’immagine con vecchi edifici in primo piano e le Torri Camuzzi sullo sfondo è particolarmente rappresentativa dell’intero concept. Cos’è che più di ogni altra cosa ti ha spinto a realizzare questo lavoro?
Quella immagine in particolare rappresenta il forte contrasto tra una parte di città in continua espansione e una parte che ancora (per poco) non è stata (s)travolta.
Non ho verificato, ma credo che diverse foto di quel reportage siano già storia e non più presente.

Torri Camuzzi

“Pescara, metamorfosi di una città” © Giancarlo Malandra 2012

. Tra le altre cose nel tuo “Abruzzo” hai manifestato in qualche modo un legame con la sua tradizione, immortalando le “donne di Scanno”, la “gente di Fara” e la tradizionale “processione del Venerdì Santo di Chieti”. Senti un particolare legame con questa terra?
E’ giusto che il progresso faccia la sua strada ma questo purtroppo comporta dei danni collaterali gravissimi.

L’Abruzzo è (anzi era, ahimè!) ricco di tradizioni ancestrali che purtroppo si sono andate mano a mano perdendo o, peggio ancora, trasformate in baracconate ad uso e consumo dei turisti mordi e fuggi. Per questo ho intrapreso un viaggio nelle tradizioni popolari abruzzesi, cercando di fotografare le manifestazioni più autentiche, quelle non ancora completamente contaminate dalle bancarelle piene di carabattole cinesi e asservite alla sola logica del profitto.

Attualmente sul mio sito ci sono solo alcune feste, ma grazie a questa intervista pubblicherò tantissimo altro materiale inedito che giace nei miei hard disk.

Scanno

“Donne di Scanno ” © Giancarlo Malandra

. Questi ultimi tre lavori hai voluto realizzarli in bianco e nero; la scelta è stata dettata esclusivamente dall’idea di donare ai lavori un sapore più “atavico” o “antico” o c’è dell’altro?
Il bianco e nero non è una scelta dettata dalla moda ma è un modo di vedere. L’assenza della distrazione del colore ti costringe a pensare l’immagine in maniera differente, porre l’attenzione sulle forme, i contrasti tra luci ed ombre. E’ innegabile che per chi guarda le fotografie il bianco e nero riesce a sganciare l’immagine dal tempo presente e gli dona una sorta di “atemporalità” che in questo tipo di fotografia è essenziale.

Processione Chieti

Venerdì Santo di Chieti © Giancarlo Malandra

. Come scegli generalmente i tuoi soggetti?
Dipende da cosa ho intenzione di fare e anche da come si evolve la storia.

Ti faccio degli esempi: “La città negata” e “Pescara, metamorfosi di una città” sono due lavori commissionati e quindi so già cosa cerco e dove voglio andare a parare.
Il mio lavoro sui pescherecci invece è partito inizialmente come un reportage sui metodi di pesca in Adriatico, ma si è in seguito evoluto in qualcosa di più complesso, che abbraccia argomenti come l’immigrazione, l’economia e l’ecologia. Infatti non è ancora concluso.

. A cosa stai lavorando adesso?
Come accennavo al punto precedente sto lavorando ancora sulla pesca e su tutte le implicazioni che un lavoro così duro ha sull’economia e l’ambiente. Essendomi avvicinato anche al video, sto iniziando anche le riprese di un documentario da abbinare alle fotografie.

Nel frattempo continua il mio viaggio in Abruzzo alla scoperta di personaggi e tradizioni popolari.

Roseto Pineto Silvi Marina Giulianova

Litoranea, istantanee dal litorale abruzzese © Giancarlo Malandra

. Le ultime domande delle nostre interviste sono sempre un po’ atipiche, quindi nel salutarti ti chiediamo: quale soggetto ti piacerebbe immortalare ma oggi è troppo tardi per farlo?
Due persone in particolare: per prima cosa mi piacerebbe partecipare al viaggio fotografico che fece l’archeologo e fotografo inglese Thomas Ashby tra il 1901 e il 1923 in Abruzzo, una regione semi sconosciuta, isolata, con i suoi riti ancestrali non ancora contaminati dal progresso.

Infine mi piacerebbe fotografare Henri Cartier-Bresson arrampicato sulle scalette di fronte la chiesa di San Rocco (o della Madonna del Carmine) nell’istante in cui con la sua Leica scatta quella famosa fotografia di Scanno.

ITALY. Abruzzo. Scanno. 1951.

Scanno, Henri Cartier-Bresson


Segui Giancarlo su: giancarlomalandra.it o su facebook.

Vivo a Sulmona (AQ), dove sono nato e dove da qualche anno ho deciso di tornare a vivere. Mi occupo di web content e redazione di articoli, saggi e sceneggiature. Dall'autunno del 2013 sono inoltre editor di Gotico Abruzzese, un progetto nato con l'intento di raccontare un Abruzzo onirico e fuori dall'ordinario.