Chi segue questo blog si sarà accorto che da un po’ di tempo non viene aggiornato. Gotico Abruzzese non è un lavoro, tutt’altro, è desiderio di libertà. Nasce per coronare una vocazione, quella di riempire giornate girando questa regione in lungo e in largo, con mete improvvisate e fermate di fortuna lungo il cammino per scattare una foto o visitare un baretto isolato in montagna.

Per questo è difficile dargli una continuità, ma per certi versi va bene così. Mi ha portato lontano senza muovermi da casa, in quella casa che per me è tutto l’Abruzzo, e questo a me basta, o me lo faccio bastare.

Oggi sono tornato in strada. Lungo l’A14, in direzione nord, vedo i camion sfrecciare sulla corsia di sorpasso. A sinistra le colline teramane, a destra l’Adriatico, a strapiombo da qualche parte sotto il cavalcavia. L’uscita di oggi è una piccola missione: devo trovare Fabrizio, un ragazzo che non conosco la cui storia, però, recentemente incrocia spesso la mia. Abbiamo amicizie in comune, completamente diverse tra loro, e il suo nome negli ultimi tempi torna spesso nei discorsi, tanto che a volte ho la sensazione di camminare sui suoi passi. Dall’idea che mi sono fatto abbiamo una storia in comune, e forse un’attitudine, una visione del mondo, una weltanschauung, per dirla in maniera più raffinata.

Fabrizio ha scelto la montagna. Dapprima in modo occasionale, poi sempre più assiduo, fino ad abbracciarla completamente. Nel 2009, quando il mio rapporto con l’entroterra veniva spezzato dal terremoto aquilano, lui fondava insieme ad altri una comune vegan a Valle Castellana, nel comprensorio dei Monti della Laga. Un’esperienza complicata, declinata presto a causa di dissidi interni tra i suoi appartenenti, di cui ho potuto farmi un’idea solo dai racconti di chi vi ha gravitato intorno e da qualche ricerca sul web.

Da allora Fabrizio ha scelto di continuare da solo. Si è trasferito da qualche parte nei dintorni di Castelli, piccolo comune del teramano alle pendici del Monte Camicia, famoso per le sue ceramiche artigianali. Questo è praticamente tutto quello che so di lui: è un cane sciolto, vive nel bosco, è un attivista. È quanto mi basta per chiedergli di incontrarci per fare due chiacchiere in amicizia.

Dalla Statale150 raggiungo Castel Castagna in direzione Isola del Gran Sasso. Sento Fabrizio per telefono, mi dice di svoltare a sinistra al bivio che indica Castelli a 8 chilometri e di richiamarlo da quel punto e non oltre perché più avanti potrei avere problemi di ricezione.

Qui Wind non arriva” mi dice con un tono ironico che sembra significare che Cristo si è fermato a Val Vomano.

All’imbocco del bivio seguo la strada per Castelli fino a veder spuntare il paese dopo l’ennesima curva, in bilico su una cresta rocciosa. Da lì proseguo verso la strada che mi ha indicato, una lingua d’asfalto dissestata che poco dopo muta in una carrareccia, fin quando termina del tutto nel punto in cui comincia il bosco. Qui trovo Fabrizio, intento a scaricare il suo furgone.

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Castelli (TE)

Dopo i saluti di rito mi avverte che “c’è da fare un po’ di strada” e si avvia quasi subito lungo il sentiero con un cartone di provviste sulle spalle, dilungandosi in un discorso sulla difficile convivenza con alcuni personaggi del posto. Con la sua presenza e con il suo attento monitoraggio del bosco ha dato fastidio ad un bracconiere locale, guadagnando minacce più o meno esplicite e continui e severi controlli da parte delle autorità forestali.

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Il monitoraggio del bosco

Fino a poco tempo prima, Fabrizio accudiva un gregge di 40 capre, con l’idea di farne un lavoro e diventare allevatore di ovini e produttore di formaggio.

Ho dovuto toglierle, ed è stata la mia più grande sconfitta. Un piccolo allevatore non è mai completamente in regola. Avrebbero sicuramente trovato il modo di farmi passare dei guai

Dalle sue parole traspare un reale e profondo sconforto.

Volevo solo vivere qui e allevare le mie capre, ma non me lo hanno permesso”.

Me lo racconta precedendomi sul sentiero in salita. Ha i polpacci di un camminatore, il passo sicuro di chi conosce quel terreno, letteralmente, fino all’ultima pietra. A metà percorso mi indica un campo perfettamente fresato. Sul terreno soffice e lavorato spuntano in perfetta simmetria giovani alberi di quercia piantati da poco.

Questo” – mi dice – “ho finito di vangarlo nei giorni scorsi”.

L’idea che un campo di quelle dimensioni possa essere vangato a mano, con la sola forza delle braccia, era per me qualcosa che credevo appannaggio di contadini ormai estinti. Di quelli bruciati dal sole e vestiti di stracci che affollano le tele di Teofilo Patini. E invece eccolo qui, uno di loro, nel 2019, che si palesa in modo così spontaneo da sorprendermi.

Abruzzo

Fabrizio, con il campo vangato a mano alle spalle

Dopo un breve cammino il sentiero torna in piano e finalmente vedo spuntare la casa. Una piccola abitazione in pietra nascosta tra gli alberi, essenziale e accogliente.

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La casa nel bosco

Ci fermiamo a controllare l’impasto della pizza messo a lievitare qualche ora prima. Mi colpiscono i particolari: il suono del torrente a valle che entra dalla finestra aperta, la perfetta pulizia degli attrezzi agricoli appoggiati al muro esterno, la felice reazione dei gatti al ritorno del padrone. Più di tutto questo, però, mi colpisce l’odore. Un odore nuovo che non so riconoscere ma che uniforma ogni cosa: Fabrizio, la casa, i suoi gatti, le sdraio di legno nel cortile esterno. Le mie capacità olfattive sono di solito molto limitate a causa della mia sinusite, ragion per cui la scoperta di quell’odore mi colpisce in modo particolare.

Fabrizio parla del più e del meno. Se dimentica la storia del bracconiere e di altri scellerati suoi compari ci torna subito dopo per raccontarmi nuovi particolari. In pochi mesi, la forestale gli ha sequestrato due roncole, minacciando allo stesso tempo una multa salata per l’eccessivo taglio di legname, senza una reale cognizione del precedente stato del bosco. Un’accusa che a Fabrizio non va giù per una ragione ben precisa: il suo scopo, qui, è quello di piantare alberi.

Rimboschimento

Ne abbiamo visti prima, lungo il sentiero, in un rudere a ridosso del campo appena vangato che lui usa come appoggio. Un piccolo vivaio autogestito di querce e abeti salvaguardato da una basilare recinzione a prova di ungulati. Fabrizio raccoglie i semi nel bosco, li fa germogliare fino a che stanno in piedi da soli. Poi sceglie per loro la posizione ideale, correttamente esposta al sole e alle correnti della vallata.

Nel corso degli ultimi dieci anni Fabrizio ha piantato nella zona migliaia di alberi.

Ragion per cui, la stessa forestale aveva avanzato nei suoi confronti l’ipotesi di una contravvenzione per aver piantato, seppur nei limiti della sua proprietà, querce considerate a sindacabile giudizio “non autoctone sugli Appennini”.

Il discorso sul rimboschimento mi appassiona, ne discutiamo tra una teglia di pizza e l’altra che Fabrizio continua a tirare fuori da un piccolo fornetto elettrico.

Dopo pranzo usciamo a passeggiare nel bosco. Da una rupe panoramica Fabrizio racconta la vallata. Mi mostra i percorsi delle valanghe dell’inverno precedente. Nei mesi a cavallo tra inverno e primavera, il boato delle valanghe riempie continuamente il silenzio del bosco. La vallata fa da cassa di risonanza allo schianto della neve che scivola dalle creste che circondano il Camicia. I canaloni sembrano cicatrici profonde che culminano in un accumulo di detriti nella parte in ombra del torrente, di cui ormai si avverte solo lo scorrere in quanto completamente nascosto alla vista. La cima del Corno Grande svetta totemica sui nostri pensieri.

In casa di Fabrizio non ci sono orologi. Nell’attimo in cui i nostri discorsi si interrompono la sua attenzione si concentra su ciò che lo circonda. Il canto dei gruccioni gli ricorda che è ormai tempo di iniziare a preparare il terreno per l’inverno, le nuvole sottili in direzione del Piano dei Morti preannunciano l’arrivo di un anticiclone. La pigrizia di un gatto sdraiato al sole conferma il ritorno dei ghiri tra le intercapedini del tetto, le cui nottate operose per riassettare la tana in vista dell’inverno impegnano il felino in battute di caccia fino alle prime luci dell’alba.

In un’epoca di valori effimeri come la nostra, una tale consapevolezza dell’esistente assume un carattere straordinario. Di più: è un atto rivoluzionario.

Nell’ottica in cui piantare querce è ritenuto un reato e allevare un piccolo gregge di capre è soggetto alle medesime regolamentazioni di un allevamento intensivo di enormi proporzioni, trasgredire a questa falla burocratica assume automaticamente il valore di un gesto politico. La legalità è un concetto stilato su linee guida universali, univoco per tutti e che proprio per questo non tiene conto delle innegabili differenze sulle quali viene applicato. Basti pensare, per esempio, a ciò che è considerato comune o fattibile in contesti urbani e fortemente antropizzati come una città, e il suo corrispettivo in un ambiente come quello in cui Fabrizio ha scelto di vivere.

Ogni gesto o singolo valore degli elementi assume, qui, un rilievo differente. Basta guardarsi attorno.

Il lastricato esterno della piccola casa nel bosco è costituito da pietre selezionate, raccolte e trasportate singolarmente da Fabrizio fino a qui dal letto del torrente più a valle. Il vialetto di ghiaia anche, così come il laghetto vicino al vivaio auto costruito, che Fabrizio ha scavato da solo per raccogliere l’acqua in esubero dalla sorgente e creare un habitat idoneo alla proliferazione della fauna anfibia.

Ne consegue che la tollerabilità di un’azione è più o meno determinata dal contesto in cui viene compiuta e che se oggi piantare alberi è ritenuto più odioso che braccare dovremmo iniziare a porci qualche domanda.

È tardo pomeriggio, il sole scende oltre la montagna allungando le ombre.

Tra qualche mese andrà via del tutto” – sentenzia Fabrizio osservandolo – “La valle si apre verso nord e il sole d’inverno è praticamente un miraggio. Tornerà poco prima dell’inizio della primavera”.

Castelli Abruzzo

Il tramonto sul Camicia

Prima di andare via ci fermiamo a piantare tre alberi di abete prelevati dal gruppo rimboschimento. Sono i primi di una nuova area appena lavorata e delimitata per scoraggiare l’ingresso di caprioli e cinghiali. L’inverno, mi spiega Fabrizio, selezionerà quelli che resteranno qui per sempre, divenendo un bosco che non potrà vedere ma che porterà la sua memoria.

Mentre mi allontano da Castelli penso alla sera che scende sulla cresta del Camicia, alla casa nel bosco, ai ghiri nell’intercapedine del tetto, al lungo inverno senza sole, alle capre rifugiate negli orridi per scampare agli attacchi dei lupi, alla storia di un ragazzo che ha scelto una montagna capricciosa in cui vivere, ma mai crudele quanto gli uomini che la abitano.


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Gotico Abruzzese all black

Vivo a Sulmona (AQ), dove sono nato e dove da qualche anno ho deciso di tornare a vivere. Mi occupo di web content e redazione di articoli, saggi e sceneggiature. Dall'autunno del 2013 sono inoltre editor di Gotico Abruzzese, un progetto nato con l'intento di raccontare un Abruzzo onirico e fuori dall'ordinario.